Il Messaggero, 1 ottobre 2018
Le famiglie italiane sono ricche e poco indebitate
ROMA Macigno, fardello, handicap: sono queste le parole usate per descrivere il debito pubblico italiano, che ormai da tre decenni è lì a condizionare tutte le scelte di politica economica. Mosse che altrove possono risultare plausibili – come quella recente della Francia di aumentare il proprio deficit fino alla soglia del 3 per cento del Pil – da noi sono rese complicate se non ardue da quei 2.341 miliardi di passività, per scalfire i quali servirebbe una crescita ben più robusta di quella attuale. È la difficile scommessa del ministro Tria, che proprio per questo punta a irrobustire la dote degli investimenti pubblici nella legge di Bilancio.
IL DIBATTITOC’è però un’altra grandezza che appare meno nel dibattito e rappresenta invece – almeno potenzialmente – un punto di forza del nostro Paese: la ricchezza finanziaria delle famiglie, assai consistente in valore assoluto nel confronto europeo e ancora più vistosa in termini netti, visto che il livello dell’indebitamento privato italiano è più basso di quello degli altri.
Complessivamente, in base ai dati della Banca d’Italia per il 2017, le attività finanziarie delle famiglie italiane valgono qualcosa come 4.407 miliardi di euro, ovvero quasi il doppio del debito accumulato dalle amministrazioni pubbliche. Si parla appunto di risparmi e investimenti, senza contare gli immobili che da soli rappresentano una massa di grandezza analoga (4.632 miliardi nel 2016). La composizione di questo colossale portafogli può oscillare leggermente nel tempo, ma vede tuttora in posizione dominante i depositi bancari, che rappresentano il 26,5 per cento del totale, per un importo di quasi 1.168 miliardi. La seconda fetta è quella delle azioni e partecipazioni (24,1 per cento). Segue con il 22,6 la voce assicurazioni, che comprende anche i fondi pensione e le quote di Trattamento di fine rapporto. Le quote di fondi comuni valgono il 12,2 per cento degli investimenti, mentre la porzione destinata alle obbligazioni, in calo lo scorso anno, si ferma al 6,9 per cento.
Un indicatore ancora più significativo è la ricchezza finanziaria netta, che si ottiene sottraendo dalle attività le passività delle famiglie. Queste valevano nel 2017 circa 928 miliardi, un importo in proporzione più contenuto rispetto ad altri Paesi europei; la parte più consistente, pari a più della metà, è rappresentata da debiti bancari a medio e lungo termine. Rapportando al Pil il valore della ricchezza finanziaria netta, si vede che le famiglie italiane dispongono di un importo che è quasi doppio rispetto a quello del prodotto. E qui sta la differenza con molti nostri vicini europei, che non si trovano in questa situazione: il 195 per cento dell’Italia si confronta con il 161 della Francia, il 124 della Germania e il 115 della Spegna. Il valore medio dell’Unione europea si aggira sul 158 per cento.
LA PARTITALa posizione di relativa tranquillità del nostro Paese sull’indebitamento privato non riguarda solo le famiglie ma anche gli altri attori economici, ovvero imprese e istituzioni finanziarie. Sommando tutto il debito pubblico con quello privato, l’Italia scende al terzo posto tra i grandi dell’Europa, dietro alla Francia, che ha un’esposizione complessiva superiore al 400 per cento del Pil, e la Spagna. Si ribalta così – almeno parzialmente – la classifica che vede il nostro Paese al primo posto (con l’eccezione della Grecia) per il solo debito pubblico in rapporto al Pil, con un valore ancora superiore al 130 per cento.