il Fatto Quotidiano, 1 ottobre 2018
Intervista al Piotta
Piotta, dopo Nemici, l’album di 7 vizi Capitale, colonna sonora della serie tv Suburra, ritorna con un disco che spiazza, insapettato. Più intimista, malinconico? Più Tommaso che Piotta forse?
È così. È il disco che voglio pensare di aver regalato al Tommaso quattordicenne, timidone e malinconico nella sua cameretta tra Ivano Fossati, Francesco De Gregori e Guccini.
Quanta acqua è passata sotto i ponti dai primi successi Supercafone e La mossa del giaguaro?
Eh, a livello anagrafico tanto, ho 45 anni… A livello stilistico anche: esecuzione, scrittura, arrangiamenti… ma credo anche che un artista debba crescere insieme con i propri dischi; sarei ridicolo, non simpatico, se facessi le cose che facevo nel 1998. Poi è chiaro: con questo disco rischio molto, chi si aspetta di divertirsi o di indignarsi in Interno 7 trova tutt’altro.
Il Piotta cresce e non si segnala mai alle cronache per risse nei locali, scandaletti o cose di questo tipo.
(sorride) Ma non solo io, la mia generazione musicale non è rissosa: Frankie hi-nrg o Caparezza, per fare due nomi, sono lontani dalle colonne di cronaca nera quanto me. Siamo ragazzi tranquilli. Ci rifugiamo nei nostri eremi. Poi, appunto, c’è un percorso di crescita umana e musicale: il Piotta ventenne era più sarcastico e autoironico forse, il trentenne più politico e sociale, oggi sono anche quello che si trova nel nuovo album, Interno 7.
È stato un artista anche politico, impegnato, non lo sarà più, non lo vuole essere più? Cosa devono aspettarsi i suoi fan dal disco che verrà dopo Interno 7?
Ah non lo so, non sapevo neppure che avrei fatto questo disco in questo modo. La mia vita condiziona molto i testi delle mie canzoni; detto questo “impegnato” è sempre una bella parola, per quanto fuori moda. Lo stato delle cose ci fa essere impegnati… no questo disco non è un passo indietro, ma la tappa di un percorso.
Disilluso dalla politica?
Non sono disilluso però come quelli del ritornello “che i politici sono tutti uguali”. Sono emotivamente concentrato su altri aspetti della vita, più asociale e meno proiettato a prendere posizione. Ma dico anche che non si può far finta di niente di fronte a certe cose intollerabili.
Come ad esemio?
Le politiche sui migranti del governo in carica. E non solo quelle. Lo spostamento a destra del Paese, anche dell’elettorato, è preoccupante.
Per chi ha votato?
L’ultima volta ho votato alle Politiche del 2013, quelle della non-vittoria di Pier Luigi Bersani. Ho votato Pd, poi è arrivato Matteo Renzi e non sono più andato alle urne. Non ho mai votato per il Movimento cinque stelle, mi sembra che ora rischi di farsi fagocitare dalla Lega e dalle politiche di destra di Matteo Salvini. Ma il vero dramma è che ho difficoltà a riconoscere una controparte. A sinistra ci sono solo macerie e anche troppo piccole per poter far sperare in qualcosa di decente in tempi brevi…
Torniamo al nuovo album, che cos’è per lei l’Interno 7? Cosa significa?
Ognuno ha il suo Interno 7, il mio è la casa di Roma, zona Conca d’Oro, dove sono arrivato a un anno e dove sono rimasto con i miei fino al 2000. Poi ho comprato casa con i soldi di Supercafone… Ma quello era l’appartamento in cui ero re tra le 13,30 e le 17 dopo la scuola, prima che papà e mamma ritornassero da lavoro. E la casa in cui si torna quando poi papà e mamma non ci sono più e bisogna svuotarla prima di venderla. E allora si riaprono i cassetti: fotografie, filmini in vhs, super8, telecamere di tutti i tipi, enormi e piccole, una storia familiare fissata in immagini che di colpo ritornano tutte davanti agli occhi. Dopo i cassetti tocca agli armadi… Ricordi e pezzi di vita si affastellano, mia madre se ne è andata nel 2004, poco dopo la mia partecipazione al Festival di Sanremo. Il 5 luglio scorso abbiamo salutato mio padre. Ma ognuno ha il suo Interno 7, raccontare il mio è un espediente per far emergere quello di chi ascolta.
Nella versione digitale l’album è diviso in lato A e lato B… come le vecchie musicassette, nostalgismo…
Sì, in questo caso però anche con un motivo più pratico: secondo me l’ascolto in streaming è più da playlist che salta da palo in frasca. Quindi spezzare il disco ha un senso, invece il cd è pensato come un concept, te lo bevi dall’inizio alla fine.
Resta il nostalgismo: il videoclip del brano Solo per noi s’inserisce in un filone ora fortunato, basti pensare alla serie tv statunitense Stranger Things… è voluto?
No, ma effettivamente un gruppo di ragazzi in giro con le biciclette, senza cellulari, con quei vestiti… ed è subito I Goonies, ed è subito E.T. Invece sono solo ragazzini nel mese delle ferie dei genitori, impiegati negli anni 80, anni fa a Tortoreto Lido, la mia seconda patria, il rifugio abruzzese in cui scappo ancora oggi quando ho voglia di isolarmi o anche per far festa con gli amici a Capodanno.
E Roma quanto è stata ed è importante per lei e per le sue canzoni?
Credo che non potrei stare da un altra parte e rimanere, anche artisticamente, chi sono e chi voglio continuare a essere. Roma è imponente e monumentale quanto disperata. Irrinunciabile. E lo dico senza intenti di campanilismo: amo Milano, c’è anche un brano in quest’album, Piazza Lagosta, dedicata proprio alla città di mia madre.
Nel suo campo quale artista butta giù dalla torre del rap oggi?
Fedez. Musicalmente non lo capisco, non mi restituisce nulla. Ne riconosco la grandezza dal punto di vista imprenditoriale: straordinario. Tutto a tavolino, però: come costruire un personaggio sovraesposto e ottenere il massimo dal mercato. Una menzione anche per Sfera Ebbasta: non si sale con due rolex sul palco del Primo Maggio, è fuori luogo e poco rispettoso, non è una provocazione ma solo una scemenza.
E chi vince tra i suoi colleghi nella classifica personale del Piotta, invece?
Caparezza. Michele senza dubbio. Premio alla carriera a Jovanotti, Lorenzo ha aiutato molto a introdurre il rap in Italia, è cresciuto con le sue canzoni e noi con lui, gli dobbiamo molto.