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 2018  ottobre 01 Lunedì calendario

Ritratto di Rocco Casalino

Per contratto i portavoce nascondono le notizie. Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio, le dà. La più importante – al netto degli strilli di cronaca e dei coltelli che fanno curriculum – è che la sua vita è un serial televisivo travestito da reality. Procede per colpi di scena, litigi, agnizioni. Rocco viene dal nulla. Fa il suo ingresso a inizio secolo dalla porta sbagliata della storia, la casa del Grande Fratello, anno 2000, dove apprende l’arte del naufragio in pubblico. Ne esce quasi vivo dopo 92 giorni e 92 notti. Si affida a Lele Mora, trafficante di anime. Poi addirittura a Emilio Fede, trafficante di refusi. Un labirinto che d’abitudine condurrebbe alla brutta morte dell’eroe sull’Hamburger Hill della celebrità mancata. Invece nel 2011 incontra l’oscuro Gianroberto Casaleggio che gli illumina la vita. Seguendo quella luce impara le qualità dell’ombra. E si persuade che la politica sia una forma più sofisticata dello spettacolo. Recita la sua nuova parte a meraviglia dentro al Movimento 5 Stelle che studia “come fosse il motore di un aereo”. Valvola dopo valvola arriva alla porta giusta. Non proprio al centro della scena. Ma subito dietro, dove sta parcheggiato il banco di regia, che poi sarebbe la famosa stanza dei bottoni. E la riconosciamo già alla prima inquadratura, perché stavolta si chiama Palazzo Chigi. Segua una sua personale apoteosi nei giardini del Quirinale, con fidanzato cubano, musica da lieto fine, o almeno sembra.
Invece ecco che all’ultima puntata della prima serie, arriva il gancio narrativo per lanciare la seconda. Un audio del protagonista che ha l’effetto di una sparatoria nel saloon. Dice più o meno: “Se quei pezzi di merda del Tesoro non trovano i 10 miliardi del cazzo, organizzeremo una mega vendetta. Abbiamo capito che là dentro ci sono burocrati che non ti fanno capire le cose apposta. Faremo una cosa fino ai coltelli”. E sulle parole “merde”, “cazzo” e “coltelli” riparte trionfale l’intreccio della seconda serie che ha appassionato il pubblico e tutte le sue succursali: giornali, politici, circo televisivo, cagnara web. Cioè tutti noi burattini che intasiamo le tubature dell’informazione, credendo di regolarne il flusso, compreso quello dello scoop che ci era stato appena dettato via WhatsApp, come si fa con i segreti da rivelare con le trombe in prima pagina.
La verità è che Rocco Casalino, il flusso se lo beve la mattina a colazione. E dopo i cento addominali quotidiani, “purtroppo tendo alla pancetta”, lo versa nei cellulari di tutta la compagnia di giro, compreso quello di Giuseppe Conte, il gentilissimo premier, diventato da tempo il suo grande fardello. A lui e a noi voleva far sapere che per i “corpi intermedi” del Mef, il ministero di Economia e Finanza, erano pronte le mine antiuomo. E ha trovato il modo più rumoroso e meno educato per comunicarcelo, ora che le molte addizioni vanno allineandosi sulle indebitate colonne della Finanziaria, l’unico dettaglio non-fiction di questa storia.
Rocco Casalino nasce povero e triste tra le porcellane di Frankenthal, paesone della Renania, Germania Occidentale, anno 1972. Cresce a Ceglie Messapica, tra gli uliveti del Salento. Madre casalinga. Padre operaio, ma soprattutto alcolista. A dispetto del destino, viene su dritto, atletico e pure studioso, visto che impara quattro lingue e si laurea a Bologna in Ingegneria Elettronica. Sogna i cristalli dell’Ibm.
Ma siccome i turbamenti dell’infanzia lasciano il segno, eccolo precipitarsi nel suo contrario, la blanda falegnameria umana del trash televisivo immaginandola una scorciatoia e non un labirinto. Ne esce marchiato a vita, con il solo vantaggio di essersi addestrato alla lotta in pubblico, a maneggiare monologhi e a giocare con i segreti da rivelare misurandoli con il sismografo delle reazioni: “Mio padre ci picchiava”. “Sono stato infelice”. “Sembro buono, ma sono anche malvagio”. “So esattamente perché sono stato scelto dal Grande Fratello: perché sono bisessuale. E se devo fare la checca isterica, faccio anche quello. È lavoro”. “Ho imparato a manipolare le persone e lo faccio bene”. “Cosa voglio fare nella vita? Il salto sociale”.
I suoi anni nella scuderia di Lele Mora passano come acqua sul vetro: guadagna, ma non gli resta nulla. Dirà: “Mi sentivo vuoto”. Il vuoto lo riempie cambiando scena. Emilio Fede, che lui ammira “perché non nasconde le proprie idee”, gli consiglia di usare la televisione in un altro modo. Si iscrive alla scuola di giornalismo a Milano. Il primo ingaggio è a Telelombardia. Il secondo a Telenorba, scelto da Lamberto Sposini. Impiega dieci anni a capire che la televisione e la politica, hanno una luce e una superficie equivalenti. Basta conoscere i tempi delle battute e scegliersi l’inquadratura giusta. Nel suo caso quella dei Cinque Stelle e di un video massaggio di 180 secondi destinato a Casaleggio e Grillo per candidarsi alle Regionali del 2012: “Vi chiedo di giudicarmi per quello che sono e di evitare i pregiudizi che mi accompagnano da molto tempo”. È il tono giusto per scatenare le ire della Rete, isolarlo, illuminarlo come vittima. E dunque fare breccia nel cuore introverso di Casaleggio che lo convoca come un fratello, addestrandolo a diventare un guerriero per la battaglia più importante, la comunicazione. L’anno dopo sbarca al Senato come vice capo dell’ufficio stampa del Movimento. Abolisce il gel dai capelli, poi abolisce i capelli rasandoli, infine abolisce il suo capo, diventando lui il numero uno. Si studia i dossier dei senatori e quelli dei giornalisti parlamentari, tagliando fuori gli indisciplinati. Ripassa a memoria le regole dei talk show, promette ospiti, oppure li cancella. E quando si sente pronto, fa quello che sa fare meglio: dare ordini, cominciando dal capogruppo dei senatori, tale Maurizio Santangelo, che non deve più andare in tv “perché troppo brutto”. In compenso ne manda una dozzina dal dentista a farsi sbiancare i denti. Poi organizza corsi di dizione. Dà consigli sul guardaroba, mentre per sé sceglie lo stile Tecnocasa, abito funereo con camicia bianca e cravatta sottile. In stile con i malumori che diffonde. “Mi sento come Atlante, porto il mondo sulle spalle. Ma ho cento vite e ricomincio”.
Alla decima puntata della sua avventura – sgomberato il campo da tutti i suoi competitori – eccolo davanti all’ultimo ascensore della sua carriera, quello di Palazzo Chigi, in compagnia del nuovissimo Giuseppe Conte, il premier, che si guarda spaesato e lo segue con lieta fiducia. Qualche volta non abbastanza in fretta, come alla prima uscita internazionale, il G7 in Canada, quando si era attardato davanti ai microfoni non previsti per dire: “Ho un mandato politico forte, sono il portavoce di tutti gli italiani…”, e Rocco, il portavoce vero del portavoce finto, lo aveva preso per un braccio trascinandolo via, suscitando scandalo (“Maleducato!”) ma anche una malevola ammirazione.
La stessa che aleggia in queste ore in cui tutti i giornali, per lo più massacrandolo, stanno edificando il suo nuovo monumento: “È un manipolatore!”, “Un violento!”, “Un bullo da quattro soldi!”. Tutto plausibile, almeno quanto il suo contrario. E se Rocco Casalino fosse davvero “il portavoce del cambiamento”? Il produttore di fumo che nasconde l’arrosto? Il volontario che detta ordini per conto del governo, distraendoci dal suo clamoroso disordine?
Tutte buone domande per mandare avanti l’intreccio della nuova fiction. In attesa che l’Ordine dei giornalisti si interroghi se evocare coltelli in privato sia o non sia una pubblica mancanza di deontologia. E forse di una Procura della Repubblica che sulle larghe spalle di Rocco, l’Atlante, prefiguri l’inchiostro di un reato da prima pagina: minaccia a corpo dello Stato, misfatto che sa di trame, di complotto e di spread. Magari appena prima che il reddito di cittadinanza atterri tra di noi e tra gli spot.