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 2018  ottobre 01 Lunedì calendario

Intervista a David Litt, la “voce” di Obama alla Casa Bianca

“Uno spin doctor che fa politica? Noi negli anni di Barack Obama alla Casa Bianca abbiamo avuto Ben Rhodes, l’uomo che scriveva i discorsi presidenziali di politica estera, che ebbe un ruolo nei negoziati con l’Iran. Ma è essenziale che sia chiaro per conto di chi agiscono: hanno un mandato o si muovono da soli?”. David Litt vede così la vicenda che ha toccato Rocco Casalino, lo spin doctor del governo Conte. Litt ha 31 anni e già un grande avvenire dietro le spalle, come diceva Vittorio Gassman. Gli studi a Yale, a 24 anni l’arrivo a Washington come speechwriter fino a guadagnarsi il soprannome di “musa comica di Obama”. Oggi è al timone del sito Funny or die. Nei giorni scorsi era a Cortina, a “Una Montagna di Libri”, per presentare il suo Grazie, Obama (Harper Collins). Litt, ebreo newyorkese come Woody Allen, nel sorriso sottile sempre pronto ad affiorare unisce l’ironia di un ventenne che scherza di se stesso e la serietà di chi ha visto il mondo dallo Studio Ovale: “Per Trump non lavorerei”.
A 22 anni alla Casa Bianca. Possibile solo in America?
Questa è stata l’avventura di Obama. E non è un caso: quando è diventato presidente non aveva legami con la vecchia classe dirigente e allora si è scelto dei giovani, gente come me che era appena uscita dall’università.

Yes we can


Quando Obama vinse ero in auto con Amy, eravamo attivisti della campagna elettorale. Mi piaceva da matti. Le dissi: “Torniamo a casa guidando nudi?”. Lei disse di sì, viaggiammo così per centinaia di chilometri fino a New Haven. Sembrava tutto possibile.
Poi invece…
Ho sposato Jaqui, è la mia vita. Ma con lei non mi sognerei mai di viaggiare nudo.
È la parabola della disillusione della politica?
No. L’elezione di Obama è stata il trionfo della speranza. Ma la sua presidenza è stata il trionfo della costanza. Ricordo che in un momento di delusione una volta dissi a Jaqui: “Il problema è che nella politica non c’è abbastanza amore”. Mi sbagliavo, quella era infatuazione. Come quando vidi Obama per la prima volta e pensai: quest’uomo non ha difetti. L’amore vero, anche quello politico, è più complesso: è lottare per qualcosa e qualcuno anche quando vedi che ha dei difetti.
Obama è stato un buon presidente?
Me lo sono chiesto anch’io. Ma vi racconto la storia di Zoe Lihn. Quando aveva tre anni era malata al cuore, i suoi genitori erano poveri. L’alternativa per lei, nella vecchia America, era morire oppure curarsi mandando in miseria la famiglia. Grazie all’Obamacare si è curata gratuitamente. L’ho incontrata oggi: è una ragazza piena di vita, con centinaia di amici su Facebook. Sì, Obama è stato un buon presidente. Anche questo può essere la politica.
Il suo libro racconta di Obama. Ma soprattutto rivela l’importanza degli spin doctor (in Francia ci hanno dedicato la splendida serie televisiva Spin), come rivela anche la polemica italiana su Rocco Casalino. Chi comanda davvero?
Speechwriter e spin doctor sono come un personal trainer. Devono essere in grado di tirare fuori il meglio di te. Non devono prendere il tuo posto.
Ma i discorsi memorabili di Obama erano davvero suoi?
Il presidente degli Stati Uniti ha decine di impegni. Deve affrontare questioni enormi. Non può preparare ogni discorso. L’impronta era la sua, lui li rivedeva sempre. Li cambiava, improvvisava. Obama forse non saprebbe inventare una formula matematica, ma ha una dote unica, geniale: riesce a individuare il nodo dei problemi in pochi istanti.
A volte viene il dubbio che le parole contino più dei fatti…
Certo che no. Più a lungo dura una carriera politica e maggiore è l’importanza dei risultati. Ma il discorso di un presidente esprime la direzione in cui va un Paese.
Lei, a 22 anni, ha segnato la direzione dell’America?
Per fare il mio lavoro servono soprattutto umiltà e impegno. Sei come un artigiano. E a volte da una parola… nascono incidenti clamorosi.
Uno speechwriter con una frase può far scoppiare una guerra?
Guerra no, però… era il mio primo discorso per la cena del presidente con i giornalisti. Ho scritto una frase dedicata ai reporter americani, ho detto che rischiavano la vita in Siria e Kenya. Arrivarono applausi. Ero tutto fiero. Il giorno dopo sulla prima pagina dei giornali del Kenya esplose la polemica, non avevano gradito come avevamo descritto il loro Paese. Un incidente diplomatico!
Come fa lo speechwriter a entrare nella testa di Barak Obama?
Bisogna conoscere il suo modo di pensare, gli ideali, il progetto politico. Barack Obama ha un’identità precisa, ben riconoscibile. Poi occorre studiare come parla, i vocaboli che usa, perfino le pause, gli sguardi.
Quali sono i più grandi discorsi della storia statunitense?
Penso all’ultimo discorso di Martin Luther King a Memphis. Alle parole di Robert Kennedy in mindless menace of violence, l’insensata minaccia della violenza, pronunciato dopo la morte di King. Ma anche a quello che disse Ronald Reagan per il disastro dello Space Shuttle. E poi Obama dopo la strage degli studenti di Newtown. Ma anche Michelle ha pronunciato grandi discorsi.
Lei o meglio il suo spechwriter. Si possono scrivere discorsi per chiunque?
Non è possibile essere d’accordo in tutto con la persona per cui scrivi. Ma devi credere a quello che fa.
E Donald Trump, i suoi discorsi e quei tweet sono farina del suo sacco?
Vengono dal suo cellulare. E poi sono così imprevedibili, non c’è un filo conduttore, una logica. Sì, credo che molti li scriva proprio lui.
Che differenza c’è tra Obama e Trump?
Obama sapeva ridere. Ricordo le sue risate. E ha sempre mantenuto il senso dell’assurdo. Come quando si spostava e intorno a lui si muovevano l’Air Force One e due elicotteri pieni di agenti speciali armati fino ai denti. Tutto per una persona. Lui guardava la scena e capivi che gli sembrava un po’ folle.
E Donald?
Trump è un intrattenitore. Convincere la gente era il suo lavoro. Ma anche quando vuol essere spiritoso Trump non ride mai. Non è ironico, è sarcastico. Se la prende sempre con qualcuno, di solito con i più deboli.
Scriverebbe per Trump?
No, bisogna crederci.
Cosa consiglierebbe allo speechwriter di Trump?
Quit. Vattene.