Il Messaggero, 1 ottobre 2018
Salute, la rivoluzione degli organoidi
Nato nel Kent 58 anni fa, l’inglese Gavin Clowry è docente presso l’Istituto di Neuroscienze dell’Università di Newcastle, dove coordina le ricerche su sviluppo, plasticità e riparazione dei danni nel sistema nervoso. Dopo la laurea in Biochimica e il dottorato in Fisiologia, è stato ricercatore al dipartimento di Anatomia e Biologia dell’University College di Londra e docente al dipartimento di Pediatria all’Università di Newcastle. L’articolo di cui si parla nell’intervista e in cui Clowry descrive l’esito sorprendente di un esperimento condotto con i colleghi Reem Basudan e Anna Basu, è stato pubblicato sul Journal of Anatomy.
Si chiamano organoidi: sono dei mini organi in tre dimensioni coltivati in vitro e che contengono le stesse informazioni genetiche del paziente. Quella degli organi in miniatura (grandi pochi millimetri) veri e propri mini cervelli, mini polmoni o fegati, coltivati da cellule staminali in condizioni che imitano il corpo umano è una delle tecnologie più promettenti per studiare i processi biologici delle malattie e il comportamento cellulare nei tessuti dei malati, in modo da realizzare trattamenti personalizzati. Tra i vantaggi, la possibilità di studiare le malattie dei diversi organi con un dettaglio impossibile da raggiungere con gli esseri umani, provare l’effetto di nuovi farmaci senza rischi.
È un campo di ricerca nato una decina di anni fa e in cui sono impegnati gli studiosi di un centinaio di laboratori nel mondo. Ancora lontano dall’utilizzo diretto sull’uomo, le scoperte si susseguono. Tra le più clamorose, l’esito di un esperimento coordinato da Gavin Clowry dell’Università di Newcastle. Ottenute cellule staminali neurali dall’uomo, diluite in una gelatina 3D e poi trapiantate nei cervelli di giovani topi, trascorso un mese, i ricercatori hanno scoperto che le cellule umane erano cresciute fino a creare delle sorte di organoidi. Senza che fosse nelle intenzioni degli scienziati, nel topo si era sviluppata una versione miniaturizzata del cervello umano e integrata in quello dell’animale. Ciò apre a nuove prospettive di studio per malattie come autismo e schizofrenia, e alla possibilità di testare la capacità degli organoidi di riparare i danni neurologici connessi.
Professor Clowry, può darci una definizione di organoide?
«Si tratta di strutture auto-assemblate di cellule staminali simili agli organi in via di sviluppo di feti o embrioni. Più a lungo li si lascia sviluppare, più le cellule contenute diventano uguali alle cellule di un organo maturo».
Quali sono i vantaggi di questa ricerca?
«Poter studiare lo sviluppo umano in vitro, mentre si compiono degli esperimenti impossibili da realizzare in un embrione umano. Per esempio cambiare la formulazione di un gene particolare, per comprendere la sua funzione nello sviluppo di un organo umano. Di recente organoidi cerebrali sono stati fondamentali per lo studio degli effetti dell’infezione da virus Zyka sullo sviluppo del cervello umano, e come possa causare microcefalia nella gravidanza. Le informazioni ricavate su come il virus si propaghi a livello molecolare, può portare a nuovi farmaci in grado di bloccare gli effetti dell’infezione. Il gruppo di ricerca al Salk Institute diretto da Fred Gauge è riuscito a creare degli organoidi cerebrali da usare come sorgente di tessuti per trapianti di cervello nei topi, e in grado di riparare danni cerebrali. In futuro gli organoidi ricavati dalle cellule di un paziente, quindi senza rischio di rigetto, potrebbero fornire i tessuti necessari per trapianti di organi».
Che cosa è successo nel vostro esperimento con i topolini e i mini cervelli?
«Il nostro obiettivo era iniettare una sospensione di cellule staminali neurali nella corteccia motoria compromessa di un topo neonato, nella speranza che le cellule, penetrando nei tessuti malati e differenziandosi, potessero rimpiazzare i neuroni perduti, riparando i circuiti danneggiati. Non ci aspettavamo di vederli organizzarsi da soli in organoidi: era la prima volta che capitava fuori dalle colture. Anche se le cellule nervose umane contenute nell’organoide non hanno creato molte connessioni con quelle del cervello del topo, le cellule di questo hanno invaso l’organoide, facendolo crescere. È un risultato impressionante perché i vasi sanguigni non erano mai stati osservati negli organoidi in vitro. Quest’interazione tra cervello e vasi sanguigni, apre a studi di grande rilevanza, volti a capire le malattie cerebrali o gli effetti delle lesioni, dalla demenza all’ictus».
Quali potrebbero essere i primi organi interessati da questo approccio?
«I più semplici, come fegato, intestino e polmoni. Per cervello e midollo spinale, ci vorrà più tempo».
Quali sono gli ostacoli da superare?
«Il principale è il tempo. Lo sviluppo umano è molto lento e per questo gli organoidi dovranno essere conservati a lungo nelle colture in vitro così da riprodurre organi reali e maturi come i nostri».
Gli organoidi potrebbero soffrire? Per esempio quelli cerebrali potrebbero sviluppare una sorta di coscienza?
«È stato suggerito che gli organoidi cerebrali, in vitro o trapiantati in un animale, potrebbero sviluppare un certo di livello di coscienza. Per ora non è successo, perché non hanno raggiunto il livello di organizzazione necessario. Perché succeda, dovrebbero replicare strutture come il talamo o la corteccia cerebrale, con le necessarie connessioni tra loro. Se le cellule umane provenienti da un organoide fossero incorporate nei circuiti cerebrali di un animale, potrebbero contribuire allo sviluppo della sua coscienza. Non so in che modo potrebbero alterarla, in ogni caso i vantaggi di questo approccio superano i rischi».