Corriere della Sera, 1 ottobre 2018
Gorkij su Lenin, un ritratto accomodato
«È convinto di avere ragione e non può tollerare che qualcuno gli rovini il lavoro. La sua sete di potere scaturisce dalla immane convinzione che i suoi princìpi siano giusti e forse dalla incapacità – assai utile per un politico – di mettersi dal punto di vista dell’avversario». Queste parole tratte dal profilo di Lenin di Lunaciarskij (Pietrograd, 1919) non figurano più nell’edizione moscovita del 1923 (ripubblicata nel 1924), presa a base, mezzo secolo fa, dall’edizione inglese – e subito dopo italiana (1967) – dei Profili di rivoluzionari dello stesso Anatolij Lunaciarskij («il più intellettuale dei bolscevichi, il più bolscevico degli intellettuali», come venne definito). Riscritture di questo genere sono un fenomeno da studiare con la lente della filologia e la consapevolezza storica dei fatti. Un caso di straordinario interesse lo ha dissotterrato con perizia e brillantezza, uno dei nostri più apprezzati russologi, Marco Caratozzolo. Si tratta del profilo di Lenin (Maksim Gorkij, Lenin, un uomo, Sellerio, pagine 176, e 13), scritto di getto da Maksim Gorkij poco dopo la morte di Lenin e poi ripensato, limato, accomodato nella successiva – più nota – edizione (1931): quella approdata nel XXII volume dell’edizione russa, e, di lì, nel XV volume in traduzione italiana delle Opere di Gorkij (Editori Riuniti, 1963).
La stesura originaria era apparsa nel 1924; con modifiche lo scritto fu riedito a Berlino nel 1927. L’edizione del 1931 è quella «sovietica». Per capire la qualità delle modifiche apportate ci si può riferire al breve paragrafo su Trotsky. È un elogio breve e vivace: (Lenin) diede un pugno sul tavolo e disse: «Ecco, che mi mostrino un altro uomo capace in un anno di mettere su un esercito esemplare, e poi anche di conquistarsi il rispetto degli esperti militari. Quest’uomo noi ce l’abbiamo! E faremo miracoli!». Nel 1931 il paragrafo viene modificato nella sostanza e diventa: «(Lenin disse) Non è uno di noi! È con noi, ma non è uno di noi. È ambizioso. C’è in lui qualcosa di negativo, gli viene da Lassalle» (pp. 152-153 dell’apparato della traduzione selleriana).
L’accusa «non è dei nostri» ha un sapore rituale, non fu infrequente nell’atmosfera kominternista. Nelle note di diario di Dimitrov si legge di un dialogo tra Dolores Ibarruri e José Diaz (entrambi esuli dopo la vittoria franchista) presente Dimitrov, il 19 luglio 1941 a proposito di Togliatti (Ercoli): «Diaz da noi. Esprime sfiducia politica in Ercoli. Anche Dolores dichiara di non avere piena fiducia in Ercoli. Sente in lui qualcosa di estraneo, di non nostro, anche se non può dare a questo un fondamento concreto» (Diario, a cura di Silvio Pons).
I cambiamenti apportati da Gorkij investono ovviamente soprattutto giudizi e notizie su Lenin. Un altro paragrafo che ha subito un capovolgimento totale è il 7: «Non può esserci un vožd (capo) che, a un livello o a un altro, non sia un tiranno. Probabilmente all’epoca di Lenin sono state uccise più persone che all’epoca di Wat Tyler, di Thomas Müntzer, di Garibaldi». Tutta questa parte nell’edizione del 1931 scompare.
L’aspetto che più colpisce, in questa storia, è che questi cambiamenti li hanno apportati gli autori stessi. Trattandosi di «ricordi» – in questo caso risalenti al 1919-20 – e di valutazioni conseguenti, è impressionante come essi vengano consapevolmente modificati dieci anni dopo. La memoria è, com’è noto, creativa, ma quella che deve (o vuole) tener conto delle opportunità politiche è anche insidiosa. E induce a porsi la domanda: cos’è un testimone oculare?