«Io vorrei che lei rimanesse. E lo vogliono anche gli altri giudici, la vedo molto difficile però».
Come cambia la situazione a questo punto?
«Nel web c’è un grande movimento a favore di Asia e quanto è successo su La 7 non farà che accrescerlo. Il pubblico è come se avesse scoperto un’Asia che non conosceva. In Italia chi non è accondiscendente risulta sempre "sospetto": l’ho provato sulla mia pelle».
Molto prima del #MeToo si è deciso che Asia era "cattiva".
«Esatto. Perché è una persona che non accetta le regole e, soprattutto, un certo tipo di bigottismo, che in Italia è molto ipocrita, perché nel privato succede di tutto, ma non importa, purché si mantenga l’apparenza. In più è una donna: e se un maschio viene considerato "stravagante", una donna diventa subito una "strega"».
Da quanto tempo vi conoscete?
«Da più di quindici anni».
Ha contribuito anche lei al suo arruolamento come giudice?
«Era fra i nomi possibili già da due anni e avevo subito dato il mio gradimento alla sua presenza».
Cosa è stato secondo lei il #MeToo e quanto è stato importante per Asia?
«È stato importante portare alla superficie un certo tipo di situazioni e per farlo la visibilità era necessaria. Il paradosso è che molti accusano Asia di aver fatto le sue dichiarazioni per convenienza. Quello che le sta succedendo è la dimostrazione che è tutt’altro che conveniente venire allo scoperto».
L’accusa maggiore è: perché aspettare così tanto?
«Asia aveva già raccontato la violenza nel suo film Scarlet Diva e uno dei motivi che l’hanno spinta a fare la denuncia è che molti produttori e registi che l’avevano visto le chiedevano se lui fosse Weinstein. Dopo l’intervista a Farrow molte attrici a loro volta andarono da lei, e lei stessa parlò con Rose McGowan perché aveva capito da certe cose che aveva scritto su Instagram che si trattava della stessa persona. Così Asia ha fatto la sua denuncia in maniera istintiva e spontanea con tutti i pericoli del caso».
Poi ha perso il suo compagno Anthony Bourdain.
«Anche in questo caso, se fosse stato un uomo tutti lo avrebbero esaltato per il coraggio di andare avanti dopo un lutto simile, lei invece è stata aggredita ma ha mantenuto una grande dignità: noi vedevamo la sua sofferenza e credo che si percepisca anche in tv. È stato il lavoro ad aiutarla».
Poi è arrivato il New York Times.
«Già prima però c’era stata una campagna violentissima con una distorsione continua della realtà da parte di moltissimi media, soprattutto sul web. La situazione dell’informazione oggi raggiunge livelli molto pericolosi perché le notizie non vengono verificate e spesso diventano vere solo perché ripetute. Se lo fa un giornale con la tradizione del New York Times è ancora più grave. Perché non si è fatta una ricerca approfondita sull’accusatore? Che aveva già accuse per molestie, stalking e ricatto, mentre nel caso di Asia non c’è un’indagine, non c’è un processo nei suoi confronti e tantomeno una condanna».
Cosa succederà adesso?
«Lei non è colpevole. Jimmy Bennett è uscito con le ossa rotte quando è andato in tv, senza neanche bisogno che si raccontasse il suo passato torbido, si è screditato da solo. Se poi si aggiunge che ha avuto diversi report e un ordine restrittivo nei confronti di una ragazza il quadro cambia».
Perché è successo tutto ciò?
«Perché questa cosa è uscita dagli argini ed è chiaro che è una materia complessa dove non è tutto bianco o nero. Asia è un personaggio internazionale e la sua azione è andata a toccare un meccanismo più grande di lei che ha messo in moto i propri anticorpi. È giusto che combatta con tutta la sua determinazione: sono certo che non ha fatto niente di male. E poi questo grande movimento non deve perdersi, perché il tentativo in atto è quello di screditare tutto».