Prima del successo, Peter Dinklage ha pensato a lungo di lavorare solo con la voce («Nel ’95 è il mio tono da macho a svegliare Elaine in un episodio della situation comedy Seinfeld… ») e lasciare il corpo a casa. «A partire da Station Agent, nel 2003, sono diventato un esempio per chi è affetto dalla mia stessa forma di nanismo, l’acondroplasia. Lo scrittore di Cronache del ghiaccio e del fuoco, George R. R. Martin, è stato uno dei primi a raffigurare i nani come creature in carne e ossa, e non semplicemente elfi fantastici. A vent’anni io ero un catorcio, diamine! Un pericolo pubblico. Sigaretta in bocca, tutto vestito di nero. Non mi avreste lasciato nemmeno le chiavi di casa. Altro che esempio di nano!», ride. «Sono contento che fama e Golden Globe siano arrivati in tarda età. E di aver potuto prendere con leggerezza chi mi definiva "l’uomo più sexy al mondo". Accanto a me c’erano mia moglie e i miei bambini. Se mi fosse capitato da giovane, avrei mandato tutto a putt...».
La scelta d’impersonare l’attore francese Hervé Jean-Pierre Villechaize — il cattivo Nick Nack di Agente 007- L’uomo dalla pistola d’oro, e mitico Tattoo della serie tv anni 70-80 Fantasy Island — arriva dal desiderio di «indossare tutti quei vestiti vintage, papillon e gioielli che tanto piacevano a Hervé, mimare il suo accento francese, e buttarmi nei party sfrenati, pieni di alcol e donne, a cui era abituato». E giù un’altra risata. «Hervé è diventato un modello molto prima di me», prosegue l’attore, «una benedizione ma anche una dannazione. Però se movimenti come #MeToo e la battaglia per la parità dei sessi e la diversità trovano degni portavoce, non fa bene solo agli addetti ai lavori. È un passo avanti per lo spettatore che, al cinema o in televisione, vede finalmente rappresentate persone reali, di tutte le razze ed etnie». E stature.
La sfida di interpretare un nano così popolare come Hervé non lo intimorisce: «Da anni Sasha Gervasi tentava di realizzare questo film. Sono abbastanza intelligente da dire di no quando mi offrono un ruolo che ridicolizza la mia altezza. Ma non è proprio questo il caso».
Dinklage è nato nel New Jersey, a un’ora da New York, padre commesso e madre insegnante di musica. «Non avevamo neanche un 19 pollici in salotto» ricorda.
«La prima sitcom che ho visto, assieme ai miei, è stata Tre cuori in affitto. Io e mio fratello ci siamo messi a piangere quando in casa è entrato il primo televisore». A scuola «ero arrabbiato con tutti, mi sentivo diverso». La produzione di True West di Sam Shepard e con John Malkovich, lo ha convinto a mettere via broncio e insicurezze e a presentarsi sul palcoscenico. I primi amori «non li cercavo sui social. Negli anni Ottanta le sale giochi erano i nostri social media. Un sacco di ragazze dei miei sogni le ho trovate davanti a un flipper». Lo affascinano il teatro e i drammaturghi: «Ho recitato in The killing act e Imperfect love, in Un mese in campagna di Turgenev, Riccardo III di Shakespeare e Zio Vanja di ?echov ma da quando sono diventato padre amo prestare la voce ai cartoni 3D, da L’era glaciale a Angry Birds ». Non crede alla fortuna, Dinklage: «Ho lavorato duro tutta la vita, calcato palcoscenici per 50 dollari appena, detto di no a migliaia di pubblicitari che mi volevano come gnomo e folletto. Quello che possiedo, me lo sono guadagnato. Non ho un’agenda di cose da fare. Non sono un tipo diplomatico. Le orecchie delle major, ora che anche i nani hanno un ambasciatore, sono dritte come aghi. Ci ascoltano!». Nell’annuario scolastico, sotto la sua fotografia, Dinklage ha lasciato la citazione di Sam Shepard: «Le parole sono strumenti di immaginazione in movimento». Lo crede ancora? «Meno un attore parla di sé, più il pubblico lo prende sul serio. Ecco, da adesso in poi, me ne starò zitto. Per sempre».