la Repubblica, 1 ottobre 2018
Peppa Pig power, la maialina fa ricchi i falsari cinesi
PECHINO «Non è un’esagerazione. In Cina stiamo perdendo decine di milioni di dollari». Provate a mettervi nei panni dei dirigenti di eOne, ne capirete la disperazione. La loro superstar, Peppa Pig, in Cina è un personaggio di culto. Ipnotica per i bambini, che la vogliono su quaderni, zainetti, bagnoschiuma e yogurt; un simbolo di controcultura per i giovani, che se la fanno stampare sulle t-shirt e perfino tatuare addosso. Il mercato più grande del mondo, la Terra Promessa di ogni azienda, pende dai grugniti della simpatica porcellina.
Eppure di tanta passione ai canadesi di eOne finisce in tasca ben poco, esclusi i diritti per trasmettere le sue avventure in tv. Tutti gli altri prodotti Peppa, di cui strabordano gli e-commerce cinesi, arricchiscono una schiera di aziende locali, leste a piratarne il musetto ancora prima che si affacciasse nel Paese.
Perché in Cina il cartone è arrivato solo nel 2015, un decennio dopo la sua prima apparizione. Preceduto di molto dalla sua fama: nel 2011 un’azienda di Shenzhen aveva già registrato all’ufficio marchi venti variazioni del nome, seguita negli anni successivi da tanti altri “abusivi del copyright”. Così quando Peppa è atterrata a Pechino i buoi per eOne erano già scappati. Perseguire una per una le imprese che fatturano con il merchandising della porcellina richiederebbe anni, senza contare che il diritto cinese le protegge. Se un marchio è depositato in una categoria, per esempio materiali scolastici, nulla vieta di ottenere un’esclusiva in ambiti diversi, dai giocattoli ai prodotti per l’igiene orale. Sì, esiste anche il dentifricio Peppa.
Nel dibattito che infuria sui social, hashtag #labattagliaperpeppa, c’è chi riconosce un merito agli abusivi: aver capito in anticipo che il cartone avrebbe stregato anche grugnendo in mandarino. «Me lo aspettavo – ha detto il presidente di eOne, divisione famiglie, Olivier Dumont – parla di valori familiari che valgono per ogni bambino del mondo, è un maiale ed è rossa, cose che in Cina funzionano». E però pochi potevano prevedere un successo del genere. Perché oltre che dai più piccoli, milioni di spettatori sulla tv di Stato, la porcellina è stata adottata anche dai giovani: “Peppa power” lo vedi scritto sulle magliette delle ragazzine alla moda di Pechino, o tatuato sul corpo di ragazzi un po’ ribelli (ispirati, pare, anche da un simile disegno sulla pelle di Alberto Gilardino). Una generazione di ventenni “ai margini” ha iniziato a girare con gli orologi di plastica della porcella e a postare le foto di Peppa in posa da gangster, mentre fuma sigari e dispensa volgarità. Così qualche mese fa è finita pure lei censurata su Douyin, la app culto dei mini video, in una retata che ha coinvolto anche droghe, travestiti (sic) e post contro il governo, «l’antitesi dalla giovane generazione che il Partito coltiva».
La più improbabile icona di controcultura. E un personaggio di cui tutti i cinesi, con le finalità più diverse, si sono appropriati.Nella loro disperata battaglia per controllare l’identità di Peppa, quelli di eOne segneranno presto un punto a favore: fra qualche mese apriranno i primi due ufficialissimi parchi a tema, uno a Pechino e uno a Shanghai. Nel frattempo però gli abusivi continuano la loro opera: una società ha da poco registrato 26 varianti di George Pig, il fratellino di Peppa. Non molleranno di sicuro adesso: il 2019, in Cina, sarà l’anno del maiale.