la Repubblica, 30 settembre 2018
Nadia Terranova e Annie Ernaux
I libri si nutrono dell’aria che respirano, è molto emozionante trovarmi in questa casa dove sono stati scritti tanti dei romanzi che ho più amato». Nadia Terranova siede intimidita sul divano di velluto blu nella villa di Cergy dove Annie Ernaux vive dagli anni Settanta in un felice isolamento rispetto all’agitazione della capitale. L’orizzonte si apre sui boschi e la valle della Senna. La libreria segue un ordine metodico. Nella sezione italiana c’è Gli anni al contrario di Terranova. La scrittrice siciliana aveva mandato il suo primo romanzo senza immaginare che sarebbe stata non solo letta ma anche apprezzata dalla grande scrittrice francese. Quando Einaudi ha proposto di organizzare un dialogo in occasione dell’uscita di Addio fantasmi, Ernaux ha subito accettato. «Ero curiosa di vedere come Nadia avrebbe proseguito». Il nuovo libro sarà pubblicato in Francia l’anno prossimo, ma l’autrice de Gli anni ha avuto un’anticipazione. Ernaux incalza la giovane autrice di domande precise, coglie molti snodi narrativi della nuova opera. Terranova si commuove, sorpresa da tanta premurosa attenzione. Parlano dell’amato Cesare Pavese, di come sappia cogliere uno stato d’animo attraverso un solo, piccolo dettaglio. «Davvero è poco celebrato in Italia? È uno dei mie maestri assoluti», si stupisce Ernaux. Ridono spesso durante le pause per la traduzione dell’interprete. Traspare un’affinità umana e non solo letteraria, superando generazioni e ostacoli linguistici.
ANNIE ERNAUX: «In Addio fantasmi vedo che sei è passata dalla terza persona all’io narrativo. Hai cambiato anche la temporalità del romanzo ma sei rimasta sulla storia di una coppia, dentro a una famiglia».
NADIA TERRANOVA: «La prima persona è un atto fondativo che ha cambiato radicalmente il mio modo di scrivere. In Gli anni al contrario raccontavo quindici anni in centocinquanta pagine. Adesso, invece, sono quattro giorni in duecento pagine. Grazie ai tuoi libri, Annie, ho imparato che bisogna accendere i riflettori sui lati oscuri della famiglia, su quelle verità non dette che generano vergogna. Senza vergogna non c’è letteratura».
«In ogni famiglia ci sono segreti circondati da silenzio e vergogna. È un sentimento che provano soprattutto i bambini ancor più degli adulti. Ho cominciato a scrivere per liberarmi della vergogna di quando ero piccola. Ci sono riuscita? Mai. Forse ho ottenuto solo un po’ di sollievo. L’onta mi accompagna ancora in molte situazioni ma almeno l’ho condivisa con altri. Scrivere, in fondo, è esprimere quello che non si può tenere per sé».
TERRANOVA:
«È come depositare un segreto in un posto. Mentre scrivi, sei al sicuro. Poi sai che tutti conosceranno quel segreto. I tuoi libri mi hanno insegnato che inoltrarsi nel più intimo spesso ci porta a toccare la parte più universale di ognuno di noi».
ERNAUX:
«Cominci il libro raccontando il ritorno a Messina. La casa famigliare è un tema universale. Quella in Normandia, dove ho vissuto fino ai miei diciotto anni, è stata un ventre materno. Nel tuo romanzo la casa mi sembra il personaggio centrale».
TERRANOVA: «È così. Il titolo provvisorio era La casa di
Messina.
Quelle pareti urlavano, avevano bisogno di essere raccontate. È uno spazio dove c’è un pieno di oggetti ma anche il vuoto di un triangolo di cui abbiamo solo due angoli, Ida e la madre. Il terzo angolo è il padre, sparito misteriosamente. La scomparsa mi interessava più della morte perché non c’è lutto: l’assenza si cristallizza in modo ossessivo. Ida e la madre si ritrovano in un limbo, né tra i vivi né tra i morti».
ERNAUX:
«C’è una scena nel libro che mi ha colpito. Ida fa colazione in cucina e sente accanto a sé la presenza di un’adolescente di tredici anni. È la persona vissuta senza mai vedere suo padre. La frase che usi ha una potenza stilistica».
TERRANOVA:
«È come quando in Memoria di ragazza
tu stai scrivendo e guardi la tua foto giovane. Hai l’impressione di guardare un’estranea. Per Addio fantasmi ho dovuto cercare in me un’adolescente imprigionata e darle finalmente la parola».
ERNAUX: «Ida è un personaggio bloccato nella sua femminilità. Ha le mestruazioni nel giorno della festa dei Morti. È un simbolo molto forte, premonitore. Ho trovato molto coraggiosa la scena nella quale racconti l’impossibilità di fare l’amore con il marito. Non riescono più a comunicare attraverso il linguaggio del sesso. È come se avessero dei vocaboli obsoleti, presi da un vecchio dizionario. Parli di “amore stanco"».
TERRANOVA: «Il desiderio è errante, anarchico, si getta sempre al di fuori di quello che abbiamo. Nelle coppie di lungo corso è una pratica che deve essere reinventata. Ida e il marito ne sono terrorizzati. Sanno che il sesso sarà la causa che, prima o poi, farà franare la loro complicità affettiva».
ERNAUX: «Parli di coppia di “monadi”. A tratti, si sentono quasi estranei. Io personalmente sono convinta che nella coppia la fusione non sia auspicabile e non possa neppure accadere se non in brevi, rari momenti».
TERRANOVA: «Anche per me è così. La fusione in amore è come il profumo: svanisce. O come l’acqua che bagna i corpi, regala sensazioni, ma non può essere utilizzata come base per costruire qualcosa».
ERNAUX: «Quando si è in coppia, scrivere è un ulteriore ostacolo alla fusione. La letteratura separa, non credi?».
TERRANOVA: «La scrittura diventa una terza, ingombrante presenza. In Passione semplice scrivi meravigliosamente che la durata della passione è “misurata con il proprio corpo”. Tu riesci comunque ad avere momenti di distacco anche nella fusione assoluta».
ERNAUX: «È forse una delle caratteristiche del mio modo di scrivere. Vivo con una forma di distanza, e quindi scrivo mantenendo questo filtro. Mi capita anche nei momenti più forti e passionali. Forse è addirittura una forma di inferiorità rispetto ad altri».
TERRANOVA: «In Memoria di ragazza scrivi una frase per me fondamentale:” La memoria è una formidabile attrezzista di scena”. Mi sembra che tu riesca a scrivere solo quando l’oggetto della narrazione, non più incandescente, si è allontanato. È allora che la memoria può entrare in scena, riorganizzare ogni dettaglio e far nascere la scrittura».
ERNAUX: «Scrittura e memoria sono inseparabili. Anzi, spesso la scrittura è il motore dei ricordi. È impossibile sapere in anticipo quanti ricordi metterò in un libro. Tu forse pensi di più alla letteratura come a un insieme di “false storie vere” come viene definito da Pietro il mestiere di Ida?».
TERRANOVA: «Il tentativo è quello. Non mi sento capace di scrivere un Io completamente autobiografico come hai fatto tu, trasformando addirittura l’Io nel Noi de Gli anni. Invento personaggi finti che però nutro con tutto ciò che ho dentro. Tu invece quale scarto trovi fra la narrativa e le opere autobiografiche?».
ERNAUX: «Ho cominciato a scrivere con due romanzi di narrativa pura. Avevo la sensazione di modellare, creare. Ero nel pieno controllo. Quando sono passata all’autobiografia ho bandito qualsiasi elemento di finzione. La differenza è totale. Sono nell’esplorazione di un territorio vergine. Ogni volta, parto per una nuova ricerca, senza sapere quale sarà il viaggio né la destinazione finale».