il Giornale, 30 settembre 2018
Primi in startup ultimi in Rete: l’Italia hightech ha due facce
Sembra di assistere al volo del calabrone. Impossibile che riesca ad alzarsi, eppure sbattendo le ali più che può, ce la fa. Il calabrone è l’Italia tecnologica, l’industria dell’innovazione, dello sviluppo di nuovi prodotti, della ricerca di nuove frontiere informatiche. L’Italia è un calabrone che non dovrebbe alzarsi in volo soprattutto perché se si vanno a vedere i dati degli italiani che si collegano a internet almeno ogni tre mesi si resta basiti. Sono pochissimi: la prima porta di accesso alla tecnologia sembra affare per pochi intimi. Secondo il sito di datajournalism Truenumbers.it, che ha elaborato i dati ufficiali dell’Eurostat pubblicati all’inizio dei quest’anno, gli italiani che hanno fatto login sulla rete sono il 37% degli uomini e il 26% delle donne. Poco più dell’Irlanda, Portogallo e Grecia, ultima in classifica, e meno di tutti gli altri grandi Paesi europei come Spagna (che è davanti a noi di circa 10 punti percentuali) e soprattutto della Germania dove gli uomini internettiani sono il 65% e le donne il 57% rispetto ad una media dei Paesi dell’Eurozona pari rispettivamente a 51% e 42%.
Segnali un po’ meno deprimenti vengono dalla Borsa. Il valore dei titoli delle società tecnologiche quotate a Piazza Affari sono saliti in un anno dell’8,6% passando dai 4 miliardi e 650 milioni del luglio del 2017 ai 5 miliardi e 48 milioni dell’agosto 2018 dopo il record del mese precedente quando la capitalizzazione dei titoli tecnologici ha toccato i 5 miliardi e 169 milioni.
Con così poca «domanda» di internet l’Italia tecnologica dà ugualmente segnali di vita, anche se molto precaria. Ad esempio: prendiamo i dati sui dipendenti. Eurostat stima ogni anno il numero di persone che lavorano in questo settore sia nella manifattura che nei servizi. Nella manifattura l’Italia perde anno dopo anno posti di lavoro. I lavoratori «tecnologici» erano 780mila nel 2008 e sono diventati 510mila nel 2015 (l’Eurostat non ha ancora diffuso i dati del 2016). Ma quelli che lavorano nel settore dei servizi tecnologici crescono, anche se purtroppo non abbastanza da compensare il calo di quelli del settore manifatturiero: erano quasi 413mila nel 2008 e sono diventati 454mila nel 2016. L’aumento dei posti di lavoro nei servizi è stato, tra il 2008 e il 2016, di 38.200 unità mentre la perdita di posti di lavoro nella manifattura è stata pari a 270mila e 500. Per ogni posto di lavoro in più nei servizi se ne sono persi 7 nella manifattura.
Ma il calabrone italiano ce la mette tutta per spiccare il volo. Basta guardare i dati delle start up tecnologiche. Il fatto che, se non un volo vero e proprio, ci si trovi di fronte almeno ad un battito d’ali lo si vede dalle società che, in un anno, hanno raccolto i maggiori finanziamenti per sviluppare nuovi prodotti, nuove tecnologie o nuovi servizi. In un anno la società italiana che ha raccolto più finanziamenti dal mercato è la Nouscom di Roma. È una società farmaceutica che studia un vaccino contro il cancro. Ha incassato 42 milioni dagli investitori. Al secondo posto c’è una delle società italiane di Fintech di maggior successo, Satispay. La sua app permette di pagare beni e servizi con lo smartphone. In un anno ha incassato 18,5 milioni, ma dopo l’aumento di capitale del 2018 per altri 15, il valore totale del funding è arrivato a 42 milioni e il valore della società è salito a 115 milioni. Al terzo posto c’è Greenbone nata fuori dal tradizionale asse Milano-Roma. È di Faenza, in provincia di Ravenna: progetta a realizza impianti ossei derivati da materiali naturali. A lei sono arrivati, in un anno, 8,4 milioni di euro.
Saranno le startup a far volare il calabrone italiano? Guardiamo i numeri del fatturato. Nel 2016 il 43,6% delle società fatturava fino a 100mila euro, meno del 50,1% del 2015 e del 59,7% del 2014. Nel 2016 quelle che fatturavano fino a 500mila euro erano il 25% del totale, meno dei due anni precedenti. Sale invece la percentuale di startup che fatturano fino a 1 milione: dal 4,1% del 2014 si è passati al 5,5% del 2016. Così come aumentano quelle che fatturano oltre un milione: dal 2,6% del 2014 al 6,2% del 2016. È vero che tra il 2015 e il 2016 quelle fallite sono quasi raddoppiate (dal 5,9% al 10,6%) ma se c’è una possibilità che il calabrone italiano possa volare, le ali che dovrà sbattere sono quelle leggere delle società che sono appena sbocciate e di quelle che ancora non esistono.