Il Messaggero, 30 settembre 2018
La filosofia di Richard Ford
Richard Ford è bellissimo. Alto, atletico, spalle larghe, braccia tornite, Lacoste color corallo, pantaloni chiaro, sguardo azzurro limpido e diretto, un sorriso disarmante. Arriva tenendo per mano la moglie, e si capisce che prima di essere uno degli scrittori più celebrati d’America, vincitore del Premio Malaparte, è un gentiluomo del Sud, abituato al caldo e al calore umano. Per la prima volta a Capri, si è portato dietro il libro di Graham Greene, che considera un modello per gli scrittori della sua generazione Dice di essere arrivato alla letteratura per caso, e di sicuro mente, sapendo di mentire. Laureato in legge, non voleva fare l’avvocato e si mise a scrivere, incoraggiato dalla moglie Kristin, un’urbanista con cui vive da cinquant’anni e alla quale ha dedicato tutti i suoi libri.
L’ESPERIENZA
Ammette di essere stato uno studente svogliato, dislessico e anche un po’ teppista. Rimasto orfano di padre a 16 anni, figlio unico di una madre vedova e adorante, che cercava di rifarsi una vita, Ford trovò la sua redenzione attraverso la letteratura. «Capii che la vita è quello che è, ma che se inizi a scriverne e lasci che ispiri le cose che scrivi e qualcuno finisce per leggerti, allora la vita diventa molto di più».
È l’esperienza chiave che è al centro dei suoi romanzi, a cominciare dalla quadrilogia di Frank Bascombe, The Sportswriter, un’epica della middle class americana, coi suoi sogni, le sue illusioni, i suoi fallimenti, il senso di grandezza e di miseria che segna il destino di tutti.
Richard Ford, però, non ama la definizione sociologica. Dice di essere amico dei re di Spagna, Felipe e Letizia, conosciuti per il Premio Principe delle Asturie, e anche loro, come chiunque altro, la mattina quando si svegliano hanno il problema di come arrivare alla sera. Questo per dire la forza universale della sua immaginazione che può toccare un americano a Parigi, sedotto da una francese insignificante come The Womanizer (altro racconto perfetto), come pure suo padre, il dolce, massiccio e serafico Carrol Parker Ford, commesso viaggiatore negli stati del Sud, che per almeno quindici anni, prima che lui nascesse, viaggiò in auto con la moglie a fianco, per piazzare l’amido della Faultness presso grossisti, negozianti e albergatori.
LA STORIA
La storia struggente di questi poveri cristi che erano i suoi genitori è il cuore di Tra di loro, il suo ultimo libro tradotto da Feltrinelli. E quando gli domandiamo se non crede di aver tradito l’intimità della famiglia, raccontando senza pudore le angherie della nonna materna, l’odio di quella paterna, o gli scatti d’ira del padre, che un bel giorno lo prese a pugni per un albero di Natale segato dalla cima e non dalla base, Ford ti fissa col suo sguardo magnetico e risponde di no. Quel libro non l’avrebbe mai scritto se i genitori fossero stati ancora vivi, ma ha voluto scrivere per non farli morire, per non cancellarne il ricordo. «Volevo cercare di trovare una virtù, là dove non si pensa che ci possa essere. Nonostante la loro vita ordinaria, i miei genitori avevano una virtù. Ed io ero l’unico in grado di articolarla senza mentire e soprattutto senza farli apparire in un modo diverso da come erano realmente».
SENSIBILITÀ
E così si sente dal vivo la sensibilità di questo figlio unico e amatissimo, cresciuto in fretta per diventare lo scrittore che aggira i fatti, e devia dal meccanismo puro della narrativa americana nei suoi racconti che sembrano scritti da un russo o da un francese, dove sale sulle spalle dei personaggi, spiandone i moti interiori, i pensieri segreti, per restituirne i sogni, le illusioni e trascinarci nei meandri della coscienza e dentro il buio dei loro sensi di colpa.
Richard Ford finge di essere un tipo semplice, ma in realtà è un uomo coltissimo, che ha letto Agostino e Marcel Proust, Sartre e Mallarmé. A 19 anni ha incontrato William Faulkner: «Era molto minuto, ben vestito, dall’aria timida, sicuramente aveva bevuto. Non l’avevo ancora letto, ma capii subito che era un grande scrittore».
L’AMICO
Ricorda pure l’incontro con Raymond Carver, che sarebbe diventato il suo migliore amico. «Fu nel 1961 a una conferenza in Texas. Lui aveva pubblicato un libro, ed io pure. Ci guardammo negli occhi e ci innamorammo all’istante. Era un uomo irresistibile, dolce, un amico caro, uno scrittore meraviglioso». Il ricordo di Carver è l’occasione per smarcarsi da un altro grande della letteratura. «In America noi scrittori non siamo competitivi. Non è come diceva Francis Scott Fitzegerald che se le cose vanno bene a me, devono andare male a un altro. Se il libro che scrivi è bello, ne godono tutti». Ma per quanto sembri sincera, l’affermazione è troppo levigata per essere vera. E infatti basta citare Truman Capote, perché parta il tiro mancino: «Un personaggio da fumetto, un precursore di Paris Hilton: il primo famoso perché famoso». E appena la domanda cade su Saul Bellow, il destro di Ford diventa imparabile: «Alfred Kazan cercava di farmi avere una certa borsa di studio, ma Saul Bellow si oppose. The sky is too low in his stories, (Il cielo è troppo basso nei suoi racconti) disse. Anni dopo, lo incontrai a una festa al Lincoln Center e pensai, è il mio momento. Mi feci avanti e gli dissi Sono Richard Ford. Ah la stimo molto disse Bellow. Ed io: Non è vero. Lei pensa che il cielo è troppo basso nei mie racconti. Ma non è lei l’autore dell’Uomo in bilico?’. E il futuro Premio Nobel finisce steso a terra KO.