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 2018  settembre 30 Domenica calendario

Il Monte Bianco perde i pezzi

Scarnificata. La storia dell’alpinismo è ferita da un crollo di centomila metri cubi: blocchi di granito che il tempo ha colorato di rosso e di giallo crollati sul ghiacciaio del ghiacciaio del Gigante. Siamo nel cuore del Monte Bianco, lato Sud, quello italiano, ma il confine lo muta in francese. «Che tristezza», dice la guida alpina Enrico Bonino che ha sentito la montagna gridare, un lamento cupo, una sorta «boato lontano, profondo, come fosse un’eco di qualcosa di tragico». Stava salendo sulla faccia Est del Trident du Tacul (3639 metri) con la sua compagna, la geologa Ilaria Sonatore. Dice Bonino: «Ci siamo detti, meglio scendere. Sassi venivano giù in mezzo alla parete, senza seguire i soliti canali. Inquietante».
Nella notte, o prima dell’alba, il crollo. Il Trident è uno dei «Satelliti» del Mont Blanc du Tacul. Luogo di grande fascino, come indica la toponomastica. Sorgono da un circo glaciale che si divide in Géant (Gigante) e Maudit (Maledetto). Fanno da piede semicircolare al Mont Blanc du Tacul che ha creste frastagliate, affilate, tormentate, come quella battezzata «du Diable». E i «Satelliti» si chiamano Roi du Siam, Grand e Petit Capucin, Clocher. La storia dell’alpinismo, fin dai primi anni del Novecento è passata di lì. E in quei mille metri cubi ridotti in pezzi c’erano passati personaggi come Walter Bonatti e Gabriele Boccalatte, o come Hervé Bouvard e Michel Piola. Non c’è più traccia del primo itinerario di salita, di Jacques de Lépiney che affrontò quel monolite nel lontano 1909. «Effetti del cambiamento climatico. Purtroppo non c’è alcun dubbio», dice Jean-Pierre Fosson, responsabile di Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur. Spiega: «Testimonianze sicure sono caldo anomalo, siccità e comparsa di laghi glaciali. O frane devastanti come quella di quest’estate nella Val Ferret, ancora il crollo della cresta des Cosmiques». 
Montagna sicura sta finendo il censimento dei ghiacciai della Valle d’Aosta che sono in inesorabile e preoccupante regresso. Hanno allo studio «una frana alla Brenva, sempre sul Monte Bianco, di circa tremila metri cubi». Sul Trident sono al lavoro gli esperti di Chamonix. Le cause sono improvvise inversioni termiche con un’enormità di gradi di differenza, anche più di 30. Proprio pochi giorni prima del crollo si è depositata una lieve nevicata che con la ripresa del caldo è sciolta, l’acqua si è infilata nelle fessure del granito e due notti di gelo hanno aumentato il volume provocando il crollo. «La coesione fra strati – dice ancora Fosson – è inconsistente, il permafrost, che è il collante di gelo, è pressoché scomparso proprio per il caldo». Fra i primi a fotografare il crollo la guida alpina valdostana Ezio Marlier. Dice: «Mai mi sarei aspettato un evento così al Trident. Negli ultimi anni i ghiacciai sono scesi di tantissimo e credo che facessero da piede a molte strutture come i “Satelliti”, sospese e instabili». Settembre è da sempre il mese dell’arrampicata in roccia ad alta quota. Ma sia Marlier sia Bonino dicono: «C’è da aver paura con questa siccità, il rischio crolli è evidente. Bisogna fare molta attenzione».