La Stampa, 30 settembre 2018
Intervista a Glenn Close
Un patto d’acciaio che si sgretola alla vigilia della sua più alta consacrazione. Dopo aver accettato, per un’intera esistenza, di costruire nell’ombra il successo del marito scrittore, una moglie esasperata riconquista la voglia di riscatto. Forse è troppo tardi, forse non è nemmeno giusto. Eppure, in quell’attimo di ribellione, c’è l’altra faccia di una medaglia vecchia e nota, quella sintetizzata nella frase, attribuita alla scrittrice Virginia Woolf, secondo cui «dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna».
Non poteva esserci attrice più adatta di Glenn Close per interpretare in The Wife - Vivere nell’ombra, regia di Bjorn Runge, il ruolo di Joan, consorte del celebre autore Joe Castleman (Jonathan Pryce che, nella versione italiana del film avrà la voce di Gabriele Lavia), appena raggiunto dalla notizia di aver vinto il Premio Nobel. Sei volte nominata agli Oscar, presente sulla scena del teatro e del cinema, fervente democratica, impegnata in diverse cause politiche e sociali, Close ha incarnato, ai tempi di Attrazione fatale, l’incubo maschile della donna perseguitatrice. Decisa a non soggiacere alla legge dell’«usa e getta», animata da una temibile sete di vendetta.
In The Wife - Vivere nell’ombra, basato sull’omonimo romanzo di Meg Wolitzer (dal 4 ottobre nelle sale con Videa), dopo essere stata per tutta la vita una moglie spesso tradita e sempre in seconda fila, Joan trova, nel finale, la forza di tirar fuori tutta la sua rabbia: «Penso che un sacco di donne passino gran parte delle loro esistenze oscurando la loro luce - osserva Close - per darla ad altri, mariti o compagni che siano. E sono convinta che certe volte lasciar brillare la propria luce sia un atto di coraggio nel quale, quasi sempre, non si viene sostenute da nessuno. È questo l’aspetto che mi ha messo in relazione con il personaggio».
Potrebbe trovarsi nella situazione di sacrificare il suo lavoro per amore?
«In qualche modo sì, anche se, certo, non sarebbe una cosa piacevole. L’ideale sarebbe invece avere un grande amore e, allo stesso tempo, riuscire a essere quello che si desidera».
La vicenda del film ruota sul concetto della grande donna dietro il grande uomo, ma dice anche che, in quel tipo di relazioni, nessuno dei due può fare a meno dell’altro. Lei che cosa ne pensa?
«Credo sarebbe stato molto noioso seguire una storia in cui uno è completamente cattivo e l’altro completamente buono. Il bello, in tutti i racconti, sta nella descrizione delle zone grigie dei rapporti. Anzi, mi pare che rispetto al libro, la figura di Joe abbia acquistato maggiore umanità».
Nella parte della protagonista da giovane recita sua figlia, Annie Starke. Come avete lavorato insieme?
«Abbiamo discusso un sacco. Ci siamo sedute intorno a un tavolo, una settimana prima delle riprese, con il regista Biorn Runge e con la sceneggiatrice Jane Anderson, e abbiamo stabilito quali dovevano essere le caratteristiche principali del suo ruolo e in che modo dovevano riflettersi nel mio. Annie ha preso le sue decisioni e io ho cercato di adeguarmi».
Come è andata con Jonathan Pryce?
«Non ha avuto un ruolo semplice, il pubblico non sta dalla sua parte, ma ho visto quanto Jonathan si sia impegnato nel rendere l’aspetto tragico di Joe, e questo mi ha colpito. Sono stata molto fortunata ad averlo come partner».
Si dice che a Hollywood le attrici over 40 facciano fatica a restare sulla breccia. Lei ci è riuscita, come ha fatto?
«Forse perché non ritengo di dover fare film per forza. Voglio dire che se mi offrono qualcosa di attraente accetto, a prescindere da quanto sarò pagata. Insomma, quello che conta è il mio vero interesse per la storia, la sensazione che sia una sfida stimolante».
Le è mai capitato di essere scartata per via dell’età o perché è donna?
«In verità mi è capitato di vedermi offrire ruoli originariamente scritti per uomini e di sentirmi dire “cambiamo la storia e il protagonista diventa donna”».
C’è un personaggio che le piacerebbe interpretare?
«Ho vissuto un’incredibile esperienza come Norma Desmond in Viale del tramonto. L’ho interpretata per la prima volta in palcoscenico, nella versione musical 22 anni fa, e poi l’ho fatta di nuovo, in un modo totalmente diverso. È uno dei più grandi personaggi femminili che siano mai stati scritti. Non ho liste di desideri, ma immagino che potrebbe essere terribilmente interessante diventare Norma Desmond per il cinema».
Qual è l’aspetto del suo lavoro che le piace di più?
«Il processo creativo. Scegliere un testo, far parte della squadra che ci lavora. Adoro la collaborazione, portare avanti un’impresa, realizzarla. È questo quello che nutre la mia anima, ma credo valga un po’ per tutti».