La Stampa, 30 settembre 2018
Indonesia, sistemi di allarme disattivati per paura di disturbare i turisti
Memoria, conoscenza e turismo. Possibile che, dopo il grande maremoto del 2004, si possano registrare ancora così tante vittime in regioni che dovrebbero avere almeno esercitato la memoria, se non acquisito la conoscenza? Purtroppo sì, per diverse ragioni. La conoscenza scientifica di terremoti e tsunami è ormai largamente diffusa anche in nazioni come Indonesia e Thailandia, che hanno ricercatori e strutture di medio livello, e sappiamo che questo è il primo elemento che impedisce agli eventi naturali di trasformarsi in catastrofi. Ma quella memoria, addirittura ancestrale, che permise alle tribù primitive del pianeta di salvarsi dall’evento di 14 anni fa, sembra perduta. In quell’occasione, i nativi che da sempre contano le due maree quotidiane, si accorsero che ce n’era una «fuori fase» e, come avevano loro insegnato gli antenati, si ritirarono sulle alture scampando al disastro. Del resto quando si contano cinque catastrofici tsunami negli ultimi due secoli, la memoria collettiva non si dovrebbe addormentare. Se non che, il terzo elemento cardine per la prevenzione, cioè una corretta pianificazione territoriale, si è scardinato in pochi anni. Dopo il 2004 si era fatto presente che le coste dell’oceano Indiano orientale non sono sicure, perché si è intaccata la barriera corallina, si sono cancellate le dune e si è costruito follemente distruggendo la foresta di mangrovie. Ma il miraggio di uno sviluppo economico ha continuato a mettere sempre più persone in condizioni di rischio: i turisti nei resort costruiti direttamente sulla spiaggia, la popolazione locale a servizio del turismo in casupole fatiscenti nei paraggi. Questo mentre i loro antenati sapevano benissimo che a mare, laggiù, ci si pesca e ci si ristora, ma non ci si dorme.
Ma come mai la tecnologia non ci viene incontro con un efficiente sistema d’allarme contro gli tsunami? Il problema non è tecnologico, ma culturale: ci sono sistemi d’allarme moderni e, alle Hawaii, un centro di studio e prevenzione formidabile. Siccome, a differenza del terremoto, lo tsunami arriva dopo qualche minuto (in qualche caso dopo ore, dipende da dove è l’ipocentro del sima associato), anche solo suonare le sirene salverebbe delle vite. E in Thailandia, subito dopo il maremoto del 2004, si era provato a mettere in opera un sistema d’allarme, così come accadde anche alle Eolie, dopo il modesto maremoto di Stromboli nel 2002. Il problema sembra essere che, come ogni sistema d’allerta contro i rischi naturali, l’allarme tsunami risulta, in media, veritiero una volta su quattro, non perché non sia affidabile, ma proprio perché non tutti gli eventi diventano catastrofici e non sempre puoi prevederne correttamente le proporzioni. Ma, invece di essere contenti che non avvenga il disastro, ci si è posti il problema di non disturbare inutilmente popolazione e turisti che, hai visto mai, potrebbero preferire zone più tranquille. Così di questi sistemi, nelle regioni che fanno del turismo il loro fulcro, non si sente più nemmeno parlare. E di tsunami si continua a morire.