Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2018
Giacomo Casanova e la lana caprina
Giacomo Casanova, Storia della mia vita, dicembre 1771: «Il penultimo giorno dell’anno giunsi a Bologna, dove presi alloggio all’albergo San Marco». Era lunedì. Il libertino è, come di consueto, senza soldi e sul suo capo pende un’accusa di truffa al gioco. Si reca il primo giorno del 1772 dal cardinale-legato Branciforte, «che avevo conosciuto a Parigi vent’anni prima, quando Benedetto XIV lo aveva incaricato di portare le fasce benedette al neonato duca di Borgogna: eravamo stati insieme in una loggia massonica e avevamo anche fatto cene squisite in compagnia di belle ragazze...».
Una settimana più tardi, Casanova incontra «nella bottega del libraio Taruffi un giovane abate guercio» che gli regala due opuscoli. È bene ricorrere alle sue parole per presentarli. Il primo «mirava a dimostrare che si devono perdonare alle donne gli errori che commettono, perché a causarli è l’utero che le fa agire contro la loro volontà»; il secondo, invece, «conteneva una critica al primo». Decide allora di scrivere a sua volta una replica e la intitola Lana caprina. Che cosa sosteneva? Lui stesso riassume: «Mi burlavo dei due dissertatori e trattavo l’argomento senza pedanteria, ma non senza approfondirlo». In tre giorni il libretto è pronto.
Certo, oggi la questione affrontata nel primo opuscolo non è politicamente corretta (e ce ne scusiamo), ma il mondo andava così. L’autore era Petronio Ignazio Zecchini, medico anatomista dell’università di Bologna; aveva come titolo Della dialettica delle donne ridotta al suo vero principio. Pubblicato nel 1771, regolarmente fornito d’imprimatur ecclesiastico, a pagina 6 Zecchini rivela il vero tema dell’operina, laddove ricorda – rivolgendosi alle donne – «propongo sotto il titolo della vostra dialettica naturale, o dell’utero pensatore...».
Abbiamo evocato questa storia e la sosta a Bologna non perché Casanova conoscesse meglio la materia dell’anatomista, ma per il semplice motivo che Silvio Calzolari, storico delle religioni orientali e ultima vittima del fascino del libertino, ha curato una nuova edizione per Luni Editrice di Lana caprina. Il testo aveva come sottotitolo Epistola di un licantropo. Il motivo, seguendo Casanova, è spiegabile con il fatto che i licantropi, appunto, a ogni plenilunio soffrono di disturbi. Come, allora si diceva, accade periodicamente al sesso debole.
Non indugeremo sull’argomento del libro, giacché l’acuto Giacomo si divertì. Prese in prestito la locuzione latina De lana caprina, perché bene indicava qualcosa di chiacchierato e di sostanzialmente inutile. Diremo soltanto che Casanova era certo che «l’uomo e la donna pensano allo stesso modo»; e per provarlo citava Platone, secondo cui il seme maschile «è provvisto di anima e respira». Sbeffeggiò, tra gli altri, anche l’erudito calvinista olandese Gerhard Johannes Voss, che affermava nel suo De theologia gentili et physiologia christiana, uscito nel 1641, «feminas non esse homines» (le femmine non sono uomini), vale a dire non appartengono al genere umano, composto di soli uomini. E allora, di grazia, con chi aveva gioito tutta la vita Casanova?
Silvio Calzolari ha fatto di più. Ha ripreso e aggiornato il suo saggio Casanova. Vita, Amori, Mistero di un libertino veneziano, uscito da Luni pochi mesi fa, e ora disponibile in un’edizione rivoluzionata. Nell’ottantina di pagine aggiunte ha rivelato una notevole quantità di documenti che potrebbero cambiare la data del decesso del magnifico Giacomo: non sarebbe morto a Dux il 4 giugno 1798 ma a Vienna, cinque anni dopo, nel 1803. Notizia, aggiungiamo con plauso per le ricerche, che non è questione «de lana caprina».