Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2018
La Babele di imposte nella Ue costa 70 miliardi all’anno
La Babele fiscale europea provoca un danno di almeno 70 miliardi di euro all’anno ai Paesi della Ue. I pochi fortunati che non subiscono questa emorragia sono i “magnifici sette” che la Commissione europea definisce testualmente «aggressivi». L’elenco comprende il Lussemburgo, il Belgio, l’Olanda, Irlanda, Malta, Cipro e (parzialmente) l’Ungheria.
«Il risultato pratico della pianificazione fiscale aggressiva è la distorsione della competizione tra le società e la distrazione sleale di risorse dagli obiettivi di spesa dei governi nazionali»: è la stessa Commissione europea che il 7 marzo 2018 lo afferma in un report inviato al Parlamento e al Consiglio europeo, alla Bce e all’Eurogruppo.
Paradisi fiscali
È inutile girarci intorno. Come afferma Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze nei governi di centro-sinistra tra il 1996 e il 2008, «in Europa esistono paesi che sono sostanzialmente dei paradisi fiscali». Picchia ancora più duro Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze nei governi di centro-destra tra il 1994 e il 2011, sostenendo che nella Ue «esiste una zona di Stati piccoli che effettivamente fregano gli altri» e che la cifra dei 70 miliardi è ampiamente sottostimata.
In effetti il dato tiene conto soltanto dei mancati introiti fiscali all’interno dei paesi Ue ma dal calcolo resta esclusa la perdita di gettito per tutti gli altri paesi, Stati Uniti inclusi, dove i giganti del web – da Apple ad Amazon, passando per Google – la fanno da padroni.
Vista con gli occhi del contribuente e se si guarda il parametro delle imposte dirette per le società, l’Unione europea è una chimera. Anche quando sembra che le aliquote non siano poi così penalizzanti o così differenti da paese a paese.
Prendiamo il caso di Malta. Sulla carta l’aliquota ordinaria è del 35%, contro il 24% dell’Italia, ma in realtà Malta prevede un meccanismo di rimborsi ai soci delle imposte corrisposte dalla società, anche se gli azionisti non sono residenti nell’isola. E che dire del Lussemburgo? L’aliquota ordinaria è del 18%, alla quale si aggiungono una sovrattassa del 7% e una addizionale comunale variabile. In realtà anche qui la cronaca recente ha rivelato come con il meccanismo degli accordi fiscali tra governo e singole società, per alcune multinazionali l’aliquota si riduceva a percentuali irrisorie, vicine allo zero. Per non parlare della vicenda che riguarda McDonald’s e del paradosso che le imposte non sono state pagate né negli Usa né nel Granducato, come ha ammesso la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager.
Il labirinto tributario
Su dividendi, royalties e capital gain ci si addentra in un vero labirinto fiscale, senza tener conto che gli accordi bilaterali tra i singoli paesi e Stati extra Ue rendono ancora più complesso il panorama tributario.
Nonostante il fiato sul collo della Commissione europea e l’indicazione di recepire la direttiva anti-elusione fiscale entro la fine dell’anno, i sette paesi continuano per la loro strada. Un esempio classico è l’Olanda, che ha deciso di cancellare la tassa sui dividendi per i non residenti. Una misura che ha sollevato le proteste dei sindacati olandesi perché causerebbe un minor introito fiscale di circa due miliardi di euro all’anno che obbligherebbe il governo a tagliare la spesa sociale.
Non è un caso che nelle ultime settimane a protestare siano stati gli insegnanti, gli infermieri e le forze dell’ordine, per i quali questa riforma sarebbe dettata dalle grandi multinazionali presenti nel paese, che sarebbero le prime a beneficiarne. Per il momento gli scioperi sono stati sospesi ma gli ultimi sondaggi indicano che il 77% degli olandesi è contro l’abolizione della tassa.
La cassaforte di Amazon
C’è un luogo-simbolo, nascosto in una piccola stradina del centro di storico di Lussemburgo che testimonia il grado di attrattività di questi sette paesi. È un piccolo edificio che ospita la sede di Amazon Eu Sarl, la società dove vengono convogliati tutti i pagamenti degli acquisti effettuati in ogni parte del globo, ad eccezione degli Stati Uniti. Lo scorso anno sono stati fatturati in questi uffici 24,9 miliardi di euro, con una impennata rispetto all’anno precedente, quando i ricavi si erano fermati a 21,6 miliardi. Soldi che vengono fatturati in Lussemburgo e non negli stati dove gli acquisti vengono realmente effettuati. Uno dei più piccoli paesi europei riesce dunque a risucchiare una quantità impressionante di denaro con il timbro dell’Unione europea. Che non riesce a riformare il fisco europeo perché difficilmente riuscirà a raggiungere l’unanimità nelle decisioni.