È cambiato qualcosa dopo il trasferimento in una prigione catalana?
«Il trasferimento in Catalogna è stato molto positivo per la mia famiglia, che non deve più percorrere 1300 chilometri per venire a trovarmi. Sono felice per mia madre, che è molto anziana, e avermi vicina la rassicura. Inoltre, mi aiuta molto sapere che ogni giorno dall’altra parte delle mura della prigione ci sono persone che manifestano per starmi vicino in questi tempi difficili. Mi aiuta molto sentirli da qui dentro».
Si considera una “prigioniera politica”?
«Sì, perché non ho commesso alcun crimine. In qualità di presidente del Parlamento catalano, ho messo ai voti proposte politiche presentate dalla maggioranza non gradite al governo spagnolo. Da ciò è partita una “giudizializzazione” della politica. Per la prima volta, in un Paese che si suppone democratico, il dibattito sulle idee è perseguito penalmente. In democrazia, i problemi politici si risolvono con la politica, non nei tribunali».
A novembre sarà passato un anno dal suo primo arresto. Se lo aspettava allora? Poi è stata rilasciata e ancora arrestata a marzo. Come ha vissuto questa seconda detenzione?
«Non me lo aspettavo allora né adesso, perché ho difeso la sovranità della Camera e il diritto d’iniziativa dei deputati. Credo che la separazione dei poteri sia la base di ogni democrazia. Ho sempre sostenuto che in un Parlamento si deve poter parlare di tutto ciò che interessa ai cittadini. L’unico limite è il rispetto dei diritti umani. Non capirò mai l’utilizzo del potere giudiziario da parte dell’esecutivo per limitare e censurare il potere legislativo.
Tuttavia, questo è quel che sta accadendo nello Stato spagnolo ed è per questo che mi trovo in prigione».
Perché la giustizia spagnola si rifiuta di concederle la libertà?
«Dicono che sussista il rischio di fuga e di recidiva penale, ma poiché ho sempre rispettato tutte le misure cautelari, la realtà è che vogliono mostrare il loro potere per punire gli indipendentisti. Inoltre, non posso essere recidiva in un reato che non ho commesso».
Che cosa si aspetta dal processo? È stata fissata una data precisa per l’inizio?
«Mi piacerebbe che fosse giusto, ma tutto indica che non lo sarà.
No, non abbiamo ancora una data e la mia custodia cautelare dura già da più di sei mesi».
Ha la sensazione che la giustizia spagnola voglia fare dei vostri casi un esempio per fermare qualsiasi fantasia indipendentista?
«Sì, credo che si stia tentando di porre uno stop a obiettivi politici per via giudiziaria. Sì, sta usando il sistema giudiziario per limitare la libertà di espressione».
È cambiato qualcosa di concreto con l’arrivo del nuovo governo a Madrid?
«Penso che questo governo sia aperto al dialogo, e ciò dev’essere visto come qualcosa di positivo. Il dialogo è essenziale per raggiungere accordi».
Quale sarebbe la soluzione per uscire dallo stallo?
«L’unica via è il dialogo e l’accordo politico. I problemi politici si devono risolvere politicamente, non nei tribunali».
Un nuovo referendum potrebbe essere la soluzione?
«La proposta è sul tavolo, ma ritengo che questo lo debbano decidere i rappresentanti politici e che dovrebbe essere votato in Parlamento».
Si deciderebbe su una maggiore autonomia con un nuovo statuto (come propone il governo Sánchez) o sull’indipendenza?
«Credo che ogni proposta debba essere votata dai cittadini in modo che siano loro a decidere il futuro della Catalogna».
Traduzione di Marina Parada
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