Il Messaggero, 29 settembre 2018
Boldini, il ritrattista e le divine creature
Potremmo definirlo metà italiano e integralmente parigino. Perché Parigi fu la sua patria di elezione, e lui ne seppe interpretare il periodo più sfolgorante e significativo: quella Belle Époqueche per la gente comune è il can can del Moulin Rouge, e per gli intellettuali la nostalgica fanciullezza proustiana, ma che per ogni mente raffinata è il gran mondo dell’aristocrazia, come fu dipinto da Giovanni Boldini.
Era nato a Ferrara, il 31 dicembre 1842, e a vent’anni era già un frequentatore del caffè Michelangiolo, che ospitava i rivoluzionari Macchiaoli. Ma l’ambiente fiorentino gli stava stretto, e la sua irrequieta fantasia si sentiva compressa da quella corrente che esprimeva un naturalismo troppo agreste per le sue visioni cosmopolite. Così approdò a Londra e infine a Parigi. Qui divenne, per due decenni, il re incontrastato della ritrattistica in genere e di quella femminile in specie. Come in un nuovo catalogo leporelliano, contesse e baronesse, marchesine e principesse posarono pazientemente per lui.
Non abbiamo la competenza specifica per definire la caratteristiche della sua tecnica esecutiva; ma anche nel nostro modesto dilettantismo riconosciamo la pennellata rapida ed efficace di Frans Hals, l’allungamento delle forme del Greco, e la varietà cromatica di Gainsborough e Reynolds.
INTROSPEZIONEBoldini non raggiunse le vette di nessuno di questi, e certo non vi aspirò. Nemmeno l’introspezione psicologica che alcuni critici hanno voluto vedere nei suoi ritratti risulta convincente, e nessuna delle sue nobildonne ispira riflessioni profonde come le venerabili dame di Goya o gli austeri gentiluomini di Van Dyck. Quello che in Boldini vi è di straordinario, insieme alla magnificenza estetica delle vesti e la distaccata arroganza degli atteggiamenti, è la capacità di interpretare un mondo e di rappresentarne i protagonisti, come nessuno è riuscito a tradurre, negli ultimi due secoli, in termini pittorici.
Osservando la languida posa di Robert de Montesquiou, l’esuberante irrequietezza della marchesa Casati o l’ambiguo scintillio della Divina in blu( forse Sarah Bernhardt) noi siamo istintivamente trasportati nell’atmosfera raffinata e decadente di una Parigi che concentrava gli intelletti più brillanti, le creature più eccentriche, e le fantasie più trasgressive di un’Europa magnificamente proiettata verso un deterioramento etico e ideale preludio alla prossima, inevitabile catastrofe. Mentre Boldini dipingeva le salonnières parigine e i loro ospiti annoiati, la Francia si dilaniava sull’affare Dreyfus, dichiarava per l’ennesima volta guerra alla Chiesa, sventava i timidi tentativi reazionari di generali impacciati, e alimentava un’incredibile fermento rivoluzionario nell’arte, nelle lettere e nella politica.
CONTRADDIZIONINessuna epoca recente ha eguagliato il mélange di contraddizioni di quegli anni scintillanti di novità, di polemiche e di dissacrazioni.
Quando l’ambizioso Presidente Felix Faure morì per un infarto durante un rapporto sessuale orale, il rude Clemenceau lo liquidò con un gioco di parole la cui volgarità era mitigata dal genio:«Il a voulu vivre César, il est mort Pompée. In questa Parigi irriverente e irrequieta convivevano i lussi sfrenati del bel mondo e le intollerabili miserie descritte da Emile Zola e da Eugene Sue, i salotti progressisti di madame de Caillavet, dove trionfava Anatole France, e quelli nostalgici di vecchi legittimisti, bonapartisi e orleanisti dove si progettavano improbabili restaurazioni; i libertini sorridevano davanti alle grottesche caricature di Toulouse Lautrec e i sentimentali si cullavano sulle malinconiche riflessioni di Perre Loti, che tra un viaggio e l’altro dall’artico ai tropici compiangeva il vuoto senso della vita e l’inevitabilità della morte. Noi dobbiamo immaginare Boldini come una supernova in questo firmamento esplosivo, una stella che in vista del collasso si illumina a dismisura, esaltando con le sciabolate virtuosistiche del suo pennello la raffinatezza di una società troppo artefatta e sontuosa per poter durare ancora a lungo.
Ed in effetti non durò. I cannoni dell’agosto 1914 infransero il mito delle magnifiche sorti e progressive di un’Europa che aveva troppo impulsivamente creduto alla infallibilità delle scienze, della tecnica e della stessa Ragione.
CARNEFICINALa più grande carneficina ( fino a quel momento) della Storia si portò via, assieme a milioni di vite, le illusioni e le speranze di tre generazioni, lasciando un deserto di pessimismo e di rovine. All’epicuresimo estetizzante di Des Esseintes succedette il rassegnato cinismo di una generazione perduta che raccolse attorno al carrefour Vavin e ai bistrot di Montparnasse una banda di geniali disperati finiti quasi tutti nell’alcol e nella droga, come Modigliani, o nel suicido come Jeanne Hebuterne. Joris Karl Huysmans, che era stato il portavoce di questo corrosivo decadentismo, li aveva ammoniti.
PREFAZIONENella prefazione del suo romanzo A’rebours aveva indicato, come unica alternativa possibile, la canna di una pistola o i piedi della croce. Lui si fece benedettino. Quasi tutti gli altri finirono fagocitati dalla guerra, dalla miseria e dalla solitudine.
Giovanni Boldini ebbe il tempo di assistere alla dissoluzione di questa epoca e alla creazione di nuove forme espressive. Quando morì nella sua Parigi, quasi novantenne, nessuno ne aveva raccolto l’eredità. La sua sontuosità figurativa era stata sostituita dalla scomposizione del cubismo, dal cromatismo esasperato dei fauves, via via fino alle sperimentazioni dell’astrattismo e del suprematismo. Noi possiamo anche inchinarci riverenti davanti a queste manifestazioni di fantasia cerebrale. Tuttavia continuiamo a vedere in Giovanni Boldini il più affascinante pittore italiano degli ultimi due secoli. Sappiamo che le sue creature sono effimere come i loro vizi, frivole come i loro vestiti, e sostanzialmente irreali.
IL TAGLIONei suoi ritratti, anche la bellezza femminile si dissolve nel taglio sghembo della composizione, nell’eccessivo cromatismo e nelle linee troppo guizzanti per essere credibili. Anche l’esasperata raffinatezza attenua la seduzione femminile: la Sant’Agnese in prigione di Ribera è enormemente più sensuale della disinibita marchesa Casati. Ma se l’arte è la rappresentazione dell’universale nel particolare, dobbiamo ammettere che nessuno meglio di Boldini ha illustrato quel sogno di lusso, di fasto e di ostentazione che almeno una volta nella vita ci ha tentato con la sua lusinga ingannevole. E noi gli siamo grati di aver rallegrato i nostri occhi e il nostro spirito con quell’antidoto estetico che, sia pure in modo precario, ci consola di tante brutture e di tante volgarità.