la Repubblica, 29 settembre 2018
Droga, tweet e bugie: così si brucia il genio di Elon Musk
L’enfant terrible del capitalismo americano rischia di essere processato, condannato e messo per sempre in un angolo. "Interdizione perpetua dal management e dai cda delle società quotate”, questa è la pena chiesta dagli sceriffi della Sec nei confronti di Elon Musk, 47 anni, eccentrico (e arrogante) capo della Tesla, industria leader delle auto elettriche, contro cui è stato aperto un procedimento giudiziario con l’accusa di frode.
Criticata subito da Musk e dal cda Tesla, che gli ha espresso «piena fiducia», la causa promossa dalla Securities and exchange commission, l’agenzia federale che tutela i mercati finanziari e gli investitori, si riferisce a un paio di frasi twittate il 7 agosto. «Sto pensando di togliere la Tesla dal listino pagando agli azionisti 420 dollari ad azione», aveva scritto il fondatore, chief executive e maggiore azionista dell’industria californiana. «Il finanziamento dell’operazione è già garantito».Forse la cifra indicata nel tweet avrebbe dovuto far nascere qualche sospetto: quel 420 – lo hanno ricordato gli inquirenti della Sec – è un numero-simbolo nella “cultura” della marijuana e Musk, specie da quando è fidanzato con la cantante canadese Grimes, considera lo spinello una delle sue armi di provocazione di massa: ne ha persino fumato uno durante una recente intervista tv. L’annuncio di agosto mise a soqquadro Wall Street. Le quotazioni della Tesla schizzarono in alto: facendo guadagnare Musk, che ha il 20% della società (e un patrimonio di circa 20 miliardi di dollari) e mettendo nei guai chi aveva scommesso al ribasso. Ed erano in tanti. In realtà quel tweet aveva venduto la pelle dell’orso prima che fosse morto. Musk si era solo incontrato con i dirigenti del fondo sovrano saudita che gli avevano ventilato la possibilità di finanziare l’operazione di “delisting”, ma limitandosi, nei fatti, a rilevare un pacchetto del 5% di azioni Tesla. Nessuna garanzia di finanziamento, quindi: tant’è che a fine agosto il chief executive ha rinunciato ai progetti di uscita da Wall Street, che pure gli sarebbe piaciuto perché avrebbe avuto meno controlli, meno spese e mani più libere.
Sin da agosto gli sceriffi della Sec si sono messi al lavoro, convinti che quel tweet a ciel sereno avesse violato vari regolamenti finanziari. Hanno interrogato i dirigenti della Tesla, sequestrato i documenti interni e hanno concluso che la comunicazione non veritiera di Musk aveva provocato una turbativa di mercato. Non solo: era stata una vera e propria frode. Di qui l’esigenza di una sanzione, sulla quale sono cominciate trattative segrete tra gli avvocati di Musk e quelli della Sec. L’altro ieri mattina l’accordo sembrava fatto.
Pur senza ammettere alcuna colpa, Musk avrebbe dovuto lasciare la presidenza della Tesla per due anni, far posto a due personaggi esterni nel cda e pagare una lieve multa. Sarebbe stata solo una bacchettata sulle dita, ma all’ultimo momento Musk, per non subire questa piccola umiliazione, ha sdegnosamente respinto il patteggiamento. Il risultato del gesto? La Sec gli ha fatto causa, le azioni del gruppo sono cadute del 14% e il processo rischia di mettere in guai ancor più seri Tesla e il suo fondatore. Negli ultimi 15 anni Tesla e Musk sono stati due nomi inseparabili. È vero che l’imprenditore di origini sudafricane aveva fatto (e continua a fare) tante altre cose.
Nato a Pretoria nel 1971, trasferitosi in Canada quando era teenager, laurea in ingegneria, ha sempre avuto un carattere creativo e irruento. Ha fondato PayPal, che poi ha rivenduto nel 2002 a eBay per 1,5 miliardi di dollari. Ha lanciato Space X sognando il turismo nello spazio.
Ha investito nell’energia solare, fondendo poi quelle attività nella Tesla. A parte qualche iniziativa a latere sempre ben pubblicizzata – come Hyperloop, che punta a costruire lunghi tunnel metropolitani per risolvere i problemi del traffico – Musk ha concentrato gran parte delle sue energie proprio sulla Tesla. Che ora rischia di rimanere orfana e di precipitare ancor più in Borsa: a meno che per una volta l’enfant terrible accetti la penitenza.