Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  settembre 29 Sabato calendario

Il dito sulle labbra e altri segni. Piccolo vocabolario esoterico

Nelle loro botteghe, a contatto con pietre esotiche da macinare per trarne polvere colorata come il prezioso blu di lapislazzuli, oppure chini sui vapori velenosi delle «acque forti» per trasformare i graffi su una lastra di rame in immagini, gli artisti hanno sempre frequentato la mitologia dell’oscuro dove le fantasie prendevano forme simboliche ed esoteriche. Chi le creava, le sapeva interpretare o le collezionava, possedeva i più importanti strumenti di conoscenza all’interno del sistema del sapere. Gli artisti erano dunque fra gli iniziati e ai migliori di loro, filosofi, teologi e scienziati affidavano formule e schemi da riportare in mappe, disegni, grandi cicli di affreschi come nel Palazzo della Ragione, a Padova, o nel Salone dei Mesi del ferrarese Palazzo Schifanoia.
Anche dopo il Medio Evo, con l’Umanesimo, la creazione artistica continuò a produrre una grande quantità di immagini di matrice ermetica, alchemica e cabalistica. Basti pensare a Botticelli, Piero di Cosimo, Leonardo, Dürer, Michelangelo, Parmigianino e Beccafumi, in un elenco che arriva al Manierismo, stile per eccellenza degli enigmi. Nei secoli successivi il fascino dell’iconografia esoterica riemerge continuamente nelle vanitas fiamminghe; nei sabba di Callot, Magnasco o Goya; nelle opere visionarie di pittori come Füssli e Blake; in correnti artistiche come il Surrealismo, il Simbolismo o l’Astrattismo. Si può dunque affermare che il sapere esoterico si sia tramandato proprio grazie all’arte e pochi artisti hanno saputo sfuggire all’orgogliosa consapevolezza di far parte di una casta custode di un antico repertorio iconografico.
Nemmeno il dissacratore dadaista Marcel Duchamp, autore, nel 1915, di una delle opere più misteriose del Novecento, il «Grande vetro (La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche)» di cui in mostra è esposta la versione ad acquaforte. La sua interpretazione è un rebus che porta a pensare si tratti di un’illustrazione delle «Nozze chimiche», motivo allegorico che esprime l’unione armonica dei principi all’origine dell’equilibrio del cosmo, ossia la riconciliazione tra la parte maschile e femminile della nostra psiche. 
Un’altra delle immagini più antiche è quella del dito sulle labbra, il «signum arpocraticum», dal nome di Horus, o Arpocrate, il piccolo figlio di Iside: è contemporaneamente gesto del silenzio e dell’ascolto che allude all’Altro per ottenere, come lo spiegò Dumézil, «la concentrazione di un’efficacia magica che la parola pronunciata non possiede». Ma ogni risveglio esoterico ha trovato le sue iconografie più congeniali: fra quelle amate dal Simbolismo c’è senz’altro l’erotismo illustrato da una galleria di donne fatali, da Giuditta, Salomé, a Meduse, Sfingi, Sirene, Chimere: tutti esseri che trasmettono il mal d’amore, o morte magica, paragonabile all’estasi mistica e al raptus che discende dal contatto con la divinità, pericoloso fino alla morte.
Il paesaggio, invece, è un tema limitato soprattutto alla foresta misteriosa;al contrario, fra gli animali si trova una grande ricchezza che spazia dal caprone che presiede ai rituali sabbatici come simbolo del diavolo associato alla lussuria, alla civetta, simbolo della Sapienza, personificazione della Notte e attributo del Regno del Sonno, fratello di Tanato, la Morte. Altra immagine molto frequentata è la scala per indicare la conquista dell’elevazione filosofica, mistica ed esoterica, anello di congiunzione fra la vita quotidiana e la Grande Opera.
Allo stesso modo la comparsa di monti, rocce e città turrite, luoghi iniziatici cui solo il sapiente ha accesso, allude all’ascesi spirituale verso i mondi superiori del cosmo e al viaggio iniziatico per conquistare la sapienza e purificare la materia dell’essere umano con lo scopo di far emergere la sua parte divina. Anche le lampade, richiamo al fuoco alchemico insieme generatore e distruttore, sono l’agente che accelera il processo verso la perfezione.
I simboli sono dunque numerosi e diversi, ma il filo rosso che unisce la mano di tutti gli artisti-alchimisti è l’idea che lo spirito prevale sulla materia, l’invisibile sul visibile. Un percorso dello «spirituale nell’arte» attraverso cui Kandinsky giunse a inventare un’ulteriore nuova forma artistica: quella dell’astrazione.