Corriere della Sera, 29 settembre 2018
Lucio Fontana e la ceramica
Coccodrillo e serpente, Vittoria alata, fanciulla con fiore, banane e fico, Crocifisso, guerriero e cavallo, corrida, ritratti vari (Annamaria Pacetti, Milena Milani, Esa), donna e colomba, battaglia. E, poi, una lunga serie di concetti spaziali. Albissola Marina, Albisola Superiore – la s singola è dovuta a un errore di trascrizione, del 1915, da parte della consulta araldica che doveva dare il nuovo stemma alla cittadina – e Savona ricordano Lucio Fontana (1899-1968) nel cinquantenario della morte, al Muda, a Palazzo Gavotti e al Museo della ceramica ( Nascita della materia, sino al 2 dicembre) con una serie di terrecotte. Dipinte e invetriate, colorate, con riflessi, maioliche bianche con colature di nero, marrone, rosa; ingobbiate, smaltate (qualcuna dorata a freddo: «Coraggio con la via dell’oro! Idea splendida, Che devi realizzare e far capire!», scriverà l’artista al coetaneo e amico Tullio Mazzotti, nel 1937, tornando dalla Francia, e dopo avere visitato le manifatture di porcellana di Sèvres).
È il periodo in cui Mazzotti collabora con Marinetti al manifesto futurista Ceramica e Aeroceramica, che uscirà l’anno dopo sul quotidiano «La Gazzetta del Popolo» di Torino. Sarà proprio l’ideatore del Futurismo a suggerire lo pseudonimo di Tullio d’Albisola al figlio del fondatore della storica «Manifattura Giuseppe Mazzotti». Accompagna la mostra nelle tre sedi, il volume Lucio Fontana e Albisola (Vanilla).
Ad Albissola, per Fontana l’avventura con argilla e forni comincia nell’estate del 1936, quando Edoardo Persico lo presenta a Giuseppe Mazzotti. Inizia così una serie di sperimentazioni e ricerche che (a parte una parentesi argentina dal ’40 al ’47) durerà qualche decennio – nella quale, naturalmente, sono coinvolti gli artigiani locali, soprattutto negli smalti – che lo porterà a ottenere risultati straordinari. «Se non faccio il fesso, per ottobre i forni di Albissola dovranno darmi l’alloro di ceramista consacrato. Ceramista! Splendido! L’aristocrazia dell’arte della scultura», scrive Fontana a Tullio d’Albisola.
Il pittore lavora in quasi tutti i laboratori di ceramica esistenti. Nella cittadina ligure si era formata una vera e propria colonia di artisti italiani e stranieri: da Agenore Fabbri ad Asger Jorn, da Aligi Sassu a Karel Appel, da Enrico Baj a Guillaume Corneille, da Sebastian Matta a Sergio Dangelo, da Wifredo Lam a Gualtieri di San Lazzaro, da Roberto Crippa a Franco Reggiani, da Giuseppe Capogrossi a Milena Milani. Albissola diventa «centro di genii e di pettegolezzi».
A qualche artista, la municipalità concede la cittadinanza onoraria. Fra questi, appunto, a Lucio Fontana, nel 1952. Tutti in posa: «Braccia conserte, sorriso bonario, camicia sbottonata e orologio al polso – scrive Bochicchio in catalogo —, Fontana è ben visibile al centro della fotografia, ma defilato tra la piccola folla: un cittadino fra i tanti presenti quel giorno ad Albisola, segno di una confidenza, di un’abitudine a vivere quel genere di riti popolari».
I lavori di Fontana esposti vanno dal ’36 al ’68, anno della morte. Denominatore comune, una sorta di barocco sui generis, che dal figurativo si trasferisce alle ceramiche, alle strutture spaziali. E di barocco sono intrisi anche arabeschi, buchi, tagli, squarci, lacerazioni di un manipolatore della fantasia. Certo non si tratta del barocco inteso come stile secentesco, piuttosto come una predisposizione dell’animo.
In proposito, viene in mente quanto scritto da un poeta come Raffaele Carrieri in Pittura, scultura d’avanguardia (1890-1950): «Quando venne a parlarmi dell’arte spaziale, Lucio cominciò a modellare l’aria; l’aria che nelle sue mani inventava un corpo rutilante. Mi disse che era stanco di creta, di forme fisse, di abilità. Voleva fare in un altro modo. Mescolarsi con l’aria, comporre nell’aria la sua plastica. Avrebbe modellato grandi corpi fluidi con luci variopinte. Lo seguivo nei suoi disegni. Era un uomo rapito».
Fontana era nato in Argentina nel 1899. Il padre, Luigi, varesino, che s’era diplomato in Scultura a Brera, aveva lasciato l’Italia una decina d’anni prima e si era stabilito a Rosario di Santa Fé, dove aveva conosciuto Lucia Bottini, attrice argentina di origine svizzera, ed era nato Lucio. Un legame durato poco. Luigi Fontana aveva sposato una ragazza della provincia di Varese da cui aveva avuto altri tre figli. E altrettanti ne aveva avuto Lucia Bottini da un altro ed aveva lasciato il primogenito al padre.
Si racconta che, ancora ragazzo, Lucio Fontana avesse chiesto al fratello Remo di fotografargli le nuvole. Cominciavano proprio allora, nello spazio, le suggestioni che lo avrebbero portato a «mescolarsi con l’aria».