Corriere della Sera, 29 settembre 2018
La guerra del governo contro i tecnici
Un conto è la politica che afferma il suo primato e si assume la responsabilità delle scelte, persino le più azzardate. Altra cosa è vedere lo Stato contro lo Stato, sentire ministri che dicono di non fidarsi dei funzionari di un ministero, e che tengono persino le istituzioni fuori dalla porta, ignorando le buone maniere oltre il protocollo.
È legittimo che un governo voglia imporre il «cambiamento» sui decimali di una Finanziaria, ma c’è un motivo se il Ragioniere generale dello Stato nei giorni scorsi è riservatamente salito al Quirinale dopo esser stato attaccato dal vicepremier Di Maio. Sostenere – come aveva fatto il capo dei grillini – che «io faccio controllare ogni norma dai miei collaboratori perché non mi fido», più che una mozione di sfiducia era parsa una denuncia di tradimento rivolta all’«uomo dei numeri», sulla cui imparzialità vigila la Costituzione. E da garante della Carta, Mattarella aveva rinnovato a Franco la propria stima per la correttezza del lavoro suo e dei suoi uffici.
Non è dato sapere quali effetti produrrà questo strappo, che certo è legato alla stesura della legge di Stabilità, ma che è solo uno dei tanti episodi accaduti nei primi cento e passa giorni di governo giallo-verde. Sia chiaro, gli scontri tra politica e tecnocrazia hanno costellato la storia della Repubblica, soprattutto della Seconda: dai tempi di Berlusconi – con Gianni Letta nel ruolo di pompiere – fino a quelli di Renzi, che mosse critiche quando era ancora sindaco di Firenze («il vero capo del governo è la burocrazia») e anche quando divenne presidente del Consiglio («la burocrazia uccide l’Italia»). Mentre stava a Palazzo Chigi, l’ex leader del Pd se la prese con i tecnici dell’Economia, con i giudici della Consulta, con l’Inps e persino con l’Istat, colpevole di «farmi prendere il Maalox ogni volta che pubblica i suoi dati».
La battaglia contro il Moloch tecnocratico è spesso l’alibi dietro cui si celano le difficoltà della politica, fa parte delle regole del gioco. È la minaccia pubblica delle purghe che segna il salto di qualità nello scontro e che rivela la diffidenza verso qualcosa che non si riesce a controllare. Con l’Economia Di Maio se l’era legata al dito per via della relazione tecnica di accompagnamento al «decreto dignità», in cui si rilevava che le nuove norme – care ai grillini – avrebbero provocato la perdita di ottomila posti di lavoro. Salvini invece voleva il cambio della guardia ai vertici dei Servizi ancora prima di diventare ministro dell’Interno, e infatti quando entrò al Viminale si rifiutò di viaggiare sul loro stesso aereo nel primo viaggio in Libia.
Entrambi l’altra sera hanno esultato dopo aver stretto il patto sul Def, «che è una vittoria contro la resistenza dei ragionieri e degli uffici». È vero che a volte gli «uffici» fanno venire il mal di testa. Ministri di destra e di sinistra hanno vissuto quanto è successo al neotitolare dell’Agricoltura e del Turismo. Per settimane il leghista Centinaio aveva atteso che le strutture redigessero il decreto delle sue deleghe. L’iniziale stesura non andava bene, la seconda era stata scritta in base alle obiezioni poste alla prima, ma quando gli dissero che gli errori erano stati corretti con altri errori, Centinaio non si trattenne: «Servirebbe un plotone». Poi tutto si risolse e si prese a lavorare.
Il problema allo Sviluppo economico è che talvolta «gli uffici» hanno difficoltà a farlo, siccome Di Maio non riceverebbe i direttori generali, tenuti a distanza dallo staff personale del ministro. E nella diatriba dello Stato contro lo Stato, può anche accadere che lo Stato non parli con lo Stato. Prima di ufficializzare l’aumento delle tariffe, l’Autorità per l’energia – come da prassi consolidata – informa il responsabile del governo e i presidenti di Commissione del Parlamento che sono competenti in materia. E in vista del rincaro di luce e gas, i rappresentanti dell’Authority, giorni fa avevano chiesto appuntamento a Di Maio. Il ministro però non li ha ricevuti, non ha nemmeno risposto alla richiesta dell’incontro.