Corriere della Sera, 29 settembre 2018
Manovra, nessuno pensa più a chi lavora
Mettiamo da parte per un momento i mercati e l’Europa. E chiediamoci: la manovra economica approvata dal governo giallo-verde che segnali invia al Paese? Certamente non è una manovra che va nella direzione degli italiani che lavorano e consentono a questo Paese di crescere, almeno un po’. Anzi, le misure adottate, con l’eccezione dell’agevolazione fiscale per le partite Iva, componente peraltro marginale, sono per lo più sussidi a favore di chi non lavora.
Vengono riviste le condizioni minime per andare in pensione, in sostanza viene accorciata la vita lavorativa. Si introduce il reddito di cittadinanza, cioè un sussidio per chi non lavora. Si ripristina la cassa integrazione per i lavoratori di imprese in difficoltà, che era stata cancellata dal Jobs act e sostituita con un moderno meccanismo di sussidi di disoccupazione. La differenza importante è che i sussidi di disoccupazione pongono il lavoratore di fronte alla realtà che il suo posto di lavoro non c’è più e che quindi deve trovarne un altro, e lo aiutano in questa fase. La cassa integrazione invece lo illude che la sua impresa possa riaprire e quindi non lo incentiva a trovare altre opportunità. Chi non trova lavoro ovviamente va aiutato, ma all’interno di un sistema che lo incentivi a trovare un’occupazione, non con un sussidio per stare a casa.
Q uanto al reddito di cittadinanza, è difficile che il governo resista alla tentazione di dare il via ai sussidi prima di esser riuscito a riformare i Centri per l’impiego, uffici regionali che oggi non hanno il personale adatto per aiutare un lavoratore a trovare un posto. Senza Centri per l’impiego ben funzionanti è impossibile verificare se davvero chi riceve il sussidio si stia impegnando a trovare un lavoro, quante offerte abbia rifiutato e quindi se abbia ancora diritto al sussidio. Verifiche difficili comunque, ma impossibili con i Centri regional di cui oggi disponiamo, soprattutto nelle Regioni più arretrate.
Ridurre poi l’età lavorativa, è assurdo in un Paese in cui l’aspettativa di vita cresce (si è allungata di 5 mesi negli ultimi cinque anni ed è oggi in media quasi 83 anni) ed in cui la partecipazione alla forza lavoro di donne e giovani e fra le più basse dei Paesi Ocse. Senza contare che la ventilata pace fiscale, di fatto un condono, è una offesa per i lavoratori e le imprese oneste.
Si è usato l’argomento che la Francia ha varato una legge di stabilità che comporta un deficit del 2,8%. Va tenuto presente che i francesi hanno un debito piu basso del nostro (34 punti di Pil meno). Ma ci sono anche due altre grandi differenze: Macron usa il deficit per ridurre le tasse, non per finanziare sussidi a chi non lavora; inoltre la riduzione delle tasse varata a Parigi (che consiste per lo piu’ nel rimborso una tantum di un credito di imposta) è temporanea, cioè dura un solo anno.
Gli aumenti di spesa varati ieri dal governo sono invece permanenti e introducono dinamiche pericolose.
Una volta ridotta l’età pensionabile sarà difficilissimo aumentarla di nuovo, per decenni. Questo vuol dire sempre più tasse su chi lavora per finanziare le pensioni. Quando l’inflazione riprenderà, il reddito di cittadinanza verrà indicizzato e poi verrà aumentato per seguire i salari di chi lavora quando questi aumenteranno. Vi saranno pressioni per rendere sempre più facile accedere a questo sussidio; già immaginiamo le lamentele, amplificate dai social media, di chi si riterrà ingiustamente escluso dal sussidio anche se in realtà non soddisfa le condizioni necessarie per ottenerlo.
Ci dicono che la manovra aumenterà la crescita e questo ridurrà il rapporto debito/Pil. Ne dubitiamo assai. Una valanga di evidenza empirica dimostra che tagli di imposte stimolano la crescita molto più di quanto lo facciano aumenti di spesa, soprattutto del tipo di quelli approvati oggi. Senza contare che questi aumenti di spesa si tradurranno prima o poi in aumenti di imposte su chi lavora. Se proprio si voleva spendere di piu non sarebbe stato meglio investire in scuole ed istruzione?
Il fatto che questi provvedimenti abbiano suscitato una reazione negativa dei mercati e dell’Europa è preoccupante, anche se per ora i mercati non sono «esplosi». Ma, intanto lo spread sta aumentando il costo dei mutui per le famiglie e dei finanziamenti per le imprese, oltre ad imporre una perdita ai risparmiatori che hanno acquistato Btp. Ed è presto per valutare come risponderanno quegli investitori internazionali che ci prestano un terzo del nostro debito pubblico. Soprattutto quando realizzeranno che i ripetuti impegni del ministro Tria erano solo parole al vento mentre in realtà egli è ostaggio di Di Maio e Salvini. E che cosa accadrà quando la promessa di forti aumenti della crescita non si verificherà e il rapporto debito/Pil salirà?
Nel frattempo dobbiamo accontentarci di una manovra che ha l’ambizione niente di meno che «abolire la povertà» ma che di fatto con il «governo del popolo» che si appresta a vararla va contro gli interessi reali del lavoro e della produzione.