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 2018  settembre 28 Venerdì calendario

Tomba con vista: l’ultima ossessione di Philip Roth

Philip Roth aveva già deciso tutto. La Morte, “la nemica”, alla fine avrebbe scritto la parola fine ma la sceneggiatura, l’ultima stesura, voleva firmarla lui. A partire dalla scelta della lapide, “tratta dalla sua casa in Connecticut, con il proprio nome dipinto come con un dito”, rivela l’attrice Mia Farrow postando uno scatto su Instagram.
C’era anche lei fra le centinaia di persone rigidamente selezionate dall’autore scomparso lo scorso maggio a 85 anni, per commemorare la propria scomparsa presso la New York Public Library, ammirandone la cupola di cristallo inglobata nel soffitto. Fra i presenti spiccavano i colleghi Salman Rushdie, Robert Caro e Don DeLillo, lì a condividere aneddoti e ricordi, ma con il diktat di osservare le istruzioni scritte dall’autore de Il lamento di Portnoy, deciso a orchestrare passo dopo passo il proprio funerale laico.
Il primo a svelare il retroscena è stato Joel Conarroe, presidente emerito della John Simon Guggenheim Memorial Foundation: “Molti anni fa, ho ricevuto per posta una lettera in cui Philip specificava persino la musica scelta per questa cerimonia ovvero Elegie in do minore del compositore francese Gabriel Faure, op. 24”. E ovviamente hanno rispettato la sua decisione, concludendo l’evento pubblico su quelle note. Ovviamente, dovendo fare i conti con il trascorrere del tempo è stato necessario correre anche ai ripari; difatti due fra gli oratori selezionati – gli autori William Styron e Saul Bellow – nel frattempo sono defunti, ma la scrittrice newyorchese Claudia Roth Pierpont e l’autrice irlandese Edna O’Brien (che tempo fa gli chiese cosa amasse di Faulkner, ottenendo in risposta “possiede una conoscenza oscura”, come rivela il tweet della scrittrice Mary Karr) hanno ricordato entrambe Roth con affetto.
Judith Thurman, invece, ha raccontato del viaggio/pellegrinaggio compiuto in Connecticut, “per cercare la sua tomba giusta”, la “tomba con vista” una sorta di scouting funebre, una macabra occasione allietata dall’umorismo yiddish. Ciascuno di noi possiede le proprie debolezze e stranezze, consoliamoci pensando che lo scrittore contemporaneo più celebrato – e snobbato palesemente dall’Accademia di Stoccolma – non era da meno. “È vero – afferma lo scrittore Bernard Avishai – Roth non ha avuto figli ma era deliziato da un paio di gattini che aveva adottato, diceva di esserne ipnotizzato. E alla fine, con il cuore a pezzi, mi confessò che dovette ridarli indietro perché ne era quasi diventato dipendente”. Con un annuncio mondiale, l’autore di Pastorale americana, aveva scioccato il mondo intero annunciando il proprio ritiro dalla scrittura nel 2010 dopo aver dato alle stampe Nemesi (tutto il suo catalogo è edito da Einaudi, compreso Perché scrivere. Saggi 1960-2013 in uscita il 23 ottobre) e da anni si riferiva alla morte come “il nemico”.
Ma era decisamente preparato a questo incontro, avendo pianificando un incontro che ha riscosso lacrime e risate, “proprio com’era nei suoi desideri”, afferma Conarroe.
Dopo qualche buon anno a Newark fra passeggiate e piscina – ai suoi amici diceva, “sono a casa, ho vinto” – la sua salute era rapidamente peggiorata ad inizio 2018 e “nel letto di ospedale, accudito da varie ex fidanzate – rivela lo scrittore Norman Manea – gareggiavamo a chi di noi due avesse subito più operazioni al cuore”. Pierpont ha ricordato anche che Roth che si guardava intorno nella sua stanza e si diceva sollevato per non aver smesso di scrivere così da non dover raccontare ciò che vedeva lì dentro. Non stupisce il fatto che, nonostante la caratura di questa celebrazione, sia trapelato poco o nulla ai media. O per citare le ultime parole scritte da Cesare Pavese: “Non fate troppi pettegolezzi”.