il Giornale, 28 settembre 2018
Il mito dei porteños, i camerieri di Baires con una memoria migliore del computer
A distanza di quasi vent’anni Alejandro Doradau ricorda bene quei giorni terribili. Formidables. Le strade affollate di argentini in tumulto, esplosioni e urla, l’odore acre del gas antisommossa che feriva le narici e bruciava le pupille, la rabbia serpeggiante davanti alle banche dei risparmiatori, circondate di filo spinato e svuotate dall’immenso debito di Stato. L’Argentina era al collasso e chi voleva saggiamente evitare le randellate della policia, si rifugiava nel tepore dei caffè, abbandonandosi a infinite quanto inutili discussioni sul tagliare la cabeza a Fernando de la Rúa o al successore Ramón Puerta, colpevoli del tracollo finanziario (assieme agli americani, che sempre hanno colpa). Poi, quando alle 19, calava il coprifuoco, alcolico, le birre erano razionate: una solo a testa e distanziata di un’ora, per non scaldare gli animi già arroventati. Un bicchierino di alcol ogni sessanta minuti. In compenso c’era caffè per tutti. A ettolitri. Ed è qui, tra tavolini e sedie, arcipelaghi fumosi e sovraccarichi di volti arrabbiati e sudati, che l’abilità di associare un ordine a una faccia da parte dei camerieri porteños è diventata leggenda, tanto da attirare l’attenzione d’influenti neurologhi che sono arrivati alla conclusione che un cameriere di Buenos Aires è capace di prendere decine d’ordinazioni, senza scriverne una sola, con tutte le varianti: caffè americano, espresso, corto, lungo, macchiato, caldo o freddo, corto con latte a parte e via così. Con abbinato un cornetto, al miele, alla marmellata, alla panna, al cioccolato o liscio. Per non dire dei dolci, delle birre e dei drink. Il coprifuoco del 2001 fu un allenamento da Olimpiadi: una faccia a un orario a una birra. Alejandro dice di saper associare un volto al minuto dell’orologio dell’ordine, o a quante empanadas o tapas il cliente mangia. Il metodo dello stecchino, uno stuzzicadenti ogni tartina da conteggiare alla cassa, ha creato generazioni di furbi, con il malcostume di «due li pago e tre me li nascondo in tasca».
Per Alejandro e i suoi colleghi di Baires è un gioco da ragazzi. Tutto a mente. E senza mai sbagliare. Hanno sviluppato una memoria inspiegabilmente prodigiosa, da diventare, prima fenomeno metropolitano, da discutere nel blog Crónicas de Latinoamérica di El Mundo (il più letto del Sudamerica), per poi approdare sulle riviste scientifiche mediche americane, incuriosite da una simile peculiarità. Behavioral Neurology ha pubblicato i dati sullo studio ai camerieri porteños, alla loro raffinata capacità di ricordare un volto e di associarne un ordine senza matita e blocchetto, spesso anticipandone anche i gusti. L’iniziativa è di Facundo Manes, direttore dell’Instituto de Neurología y Medicina Experimental e dell’Instituto de Neurociencias de la Fundación Favaloro di Buenos Aires.
Il professor Facundo racconta che un giorno si trovò con alcuni amici e colleghi nel Café Tortoni, uno dei più antichi della città. Notò che i camerieri riuscivano a seguire più di quattro tavoli a testa senza confondersi con le ordinazioni. Per varie settimane i ricercatori visitarono numerosi e differenti locali di Baires, sempre in gruppi di otto e sempre cambiandosi di tavolo, dopo aver fatto le proprie ordinazioni. I camerieri notavano il cambio e non commettevano errori nel servire ogni cliente. Un’abilità costruita nel tempo, con gesti abitudinari e la tecnica, quasi sempre incosciente, di memorizzare un dettaglio del cliente e di ricollegarlo al tavolo dell’ordine. E con un’opzione di lusso: cancellare dai neuroni, impegnati nella memoria, l’ordine, una volta completato, per poi passare al successivo, con il cervello in reset.
Altro che palmari, collegati in wireless alla cassa e alla cucina, per i bar della capitale argentina, il computer più potente è la mente, dicono con orgoglio sul rio e la Plata. Uno strumento potentissimo, se ben allenato, come conferma lo studio del dottor Facundo arrivato fino a Harvard, ma anche vulnerabile alle malattie degenerative del sistema nervoso, come l’Alzheimer e altre forme di demenza senile. Perché l’intento è di verificare in quale parte del cervello alberghi tale funzione di memorizzare un volto e di associarlo a un cibo. La medicina ci spiega che è lavoro dell’ippocampo, situato nel lobo temporale, occuparsi della memoria, come ricordare cosa si è mangiato a pranzo (memoria a breve termine) e dove si è stati in vacanza otto anni prima (a lungo termine). Ed è l’ippocampo la zona più devastata dall’Alzheimer, la zona da tenere allenata e sotto controllo, anche con l’esercizio suggerito dai camareros.
Così, mentre gli scienziati studiano e cercano applicazioni a questa tecnica istintiva, Alejandro s’azzarda a scommettere anche sulle abitudini di clienti sconosciuti, entrati per la prima volta nel suo bar. Eccolo alla prova: per il giovane signore in doppiopetto una birra bianca e una milanese senza patatine, soltanto insalata scondita, perché nessun trentenne vuole accumulare peso. E per la signora, sui cinquant’anni? Empanadas di spinaci, poche calorie da far esplodere, poi, con un gelato doppio cioccolata e panna. Tutto vero. Merito di una fine capacità d’osservazione.
Ma a smorzare gli entusiasmi è il segretario generale di categoria (ne esiste uno in Argentina, la Aca) Dante Camaño. Dà una spiegazione che suona banale, sgonfia il prodigio, ma che in fondo è alla base di ogni progresso: l’orgoglio, perché per un buon cameriere è una vergogna insopportabile annotare le comande o usare uno strumentino a batterie. Lui giura di averne visti tantissimi di camerieri servire intere famiglie per decenni, ricordando alla perfezioni richieste, gusti e abitudini. E c’è anche il potere della mancia.