Corriere della Sera, 28 settembre 2018
Come sparisce un ghiacciaio
Sulle carte è ancora il più grande ghiacciaio vallivo delle Alpi, ma il ghiacciaio dei Forni, in Valtellina, sul versante lombardo dello Stelvio, di fatto non esiste più. Dopo un’agonia durata trent’anni, i tre bacini innevati che da Punta San Matteo al Palon de la Mare, nel massiccio dell’Ortles-Cevedale, confluivano in un’unica colata di ghiaccio, gettandosi fino a riempire la valle dei Forni, si sono frantumati, dando vita a tre ghiacciai.
L’abate Antonio Stoppani che nel 1876 salì su queste alture, attratto dalle acque terapeutiche di Santa Caterina Valfurva, rimase impressionato: «Immaginate un’ampia valle, cui fanno parete, dall’uno e dall’altro lato, rupi ignude, scoscese, talora a picco. Un maestoso fiume ne occupa tutto il fondo. Quel fiume è bianco, come la neve, sodo come il ghiaccio. È infatti un fiume di ghiaccio che scaturisce dagli immensi campi di nevi eterne», annotò ne Il Bel Paese, manuale che fu un caso editoriale. Vittorio Sella immortalò questo «fiume di ghiaccio dalle onde sospese» con le sue foto nel 1887, trasformando la valle in un’attrazione. Dopo di che fu inaugurato il rifugio Forni, all’epoca un grand hotel costruito accanto al ghiacciaio per consentire alle signore della ricca borghesia lombarda di fare due passi sul ghiaccio senza rinunciare alla loro mise.
Da allora la superficie del ghiacciaio si è quasi dimezzata e la sua fronte si è ritirata di tre chilometri. Il glaciologo Giuseppe Cola è dal 1986 testimone di questo declino: «Da quando faccio rilievi quassù», mi dice accompagnandomi sul ghiacciaio, «le temperature si sono alzate di oltre un grado, ma si sono anche ristretti gli inverni e allungate le estati, e si sono ridotti gli accumuli: invece di nevicare, ormai piove». Alla velocità di cento metri l’anno, la fronte si è sempre più ristretta e assottigliata. Fino al collasso definitivo, ad agosto, con la decomposizione della sua parete inferiore, che crollando ha aperto cavità sotterranee dai colori incredibili. In uno spettacolo effimero, destinato a sparire presto, mentre tra i detriti e i torrenti creati dalla fusione dei ghiacci si fanno già largo le prime piante di larice.