Corriere della Sera, 28 settembre 2018
Dal Fmi all’Argentina un prestito record
L’Argentina ci riprova. Viene annunciato un nuovo accordo con il Fondo monetario, con promesse di buona gestione dei conti pubblici in cambio del prestito più alto di tutti i tempi. Obiettivo è allontanare lo spettro dell’ennesimo collasso finanziario, fermare l’ascesa del dollaro e rimettere in carreggiata l’economia.
L’ultima scommessa di Mauricio Macri arriva con un assegno da ben 57,1 miliardi di dollari, con l’abituale clausola «stand by» (cioè la linea di credito Fmi è disponibile a rate in caso di necessità, non viene elargita tutta in una volta). Il grosso (50 miliardi) era stato concordato mesi fa, ma non era servito a placare i mercati né a rendere credibili le promesse di Macri. Anzi, una parte della prima tranche di dollari è già stata bruciata nei tentativi inutili di sostenere il peso.
Con la situazione in rapido deterioramento, il leader argentino è dovuto correre urgentemente da Christine Lagarde a Washington, chiedendo – si era detto – addirittura un aumento da 50 a 70 miliardi del prestito. È tornato a casa con molto meno, dunque, ma accompagnato dalle parole di speranza della numero uno francese del Fondo: «L’Argentina ha messo a punto un piano economico rafforzato, che punta a far tornare la fiducia e stabilizzare l’economia», ha scritto Lagarde. Anche l’altra volta aveva manifestato appoggio e ottimismo, ma questa è la norma quando si annunciano accordi del genere.
Abbastanza cauta la reazione dei mercati ieri, con la Borsa in rialzo, lo spread in ribasso ma il dollaro che insiste ancora attorno ai massimi (40 pesos). Ci vorrà tempo per capire, insomma.
In Argentina è ormai chiaro che i tentativi di Macri, nei mesi scorsi, di minimizzare i problemi e attribuire tutto alle gestioni precedenti dei Kirchner sono andati a vuoto. Non era vero che la crisi cambiaria avrebbe al massimo provocato la frenata del Pil: la previsione adesso è di un calo di oltre il 2 per cento. L’inflazione alta – sempre venduta come l’effetto di spesa allegra e politiche populiste – dovrebbe ora saltare dal 25 al 45 per cento, prima di tornare a scendere. Per gli argentini ci sarà da stringere ulteriormente la cinghia, perché il Fondo esige il deficit pubblico a zero già l’anno prossimo e un avanzo primario nel 2020: tutto in anticipo di un anno rispetto agli accordi precedenti. Il cambio resterà quasi libero: per questo si dimesso nei giorni scorsi il numero uno della Banca centrale, Luis Caputo, che era favorevole invece ad una banda di oscillazione.
Macri si troverà ora per tutta la seconda parte del suo mandato tra due fuochi: le proteste popolari per i tagli alla spesa pubblica e la riduzione dei sussidi (ha appena subìto il quarto sciopero generale, che ha paralizzato il Paese) e le pressioni dei mercati per una manovra di aggiustamento seria, lontana dal gradualismo scelto sin dall’inizio della sua gestione.