La Stampa, 27 settembre 2018
Intervista al tenore chitarrista Juan Diego Florez
Tonio della Fille du régiment (tutti quei do acuti stupendamente infilzati!), Nemorino dell’Elisir d’amore, Don Ramiro della Cenerentola, Ory del Comte: adesso un cappello di paglia color avana, una chitarra, una spiaggia tropicale sullo sfondo. È la copertina di Besame mucho, il nuovo album di Juan Diego Flórez, tenore eccelso e peruviano orgoglioso. A chi si scandalizza per la piega popular, lui spiega che in quella musica ritrova le radici: «Sono cresciuto con José Antonio suonato da mio padre alla chitarra, con i tanghi argentini della nonna al pianoforte».
E sua madre, intanto?
«Gestiva a Lima la Taberna, un locale di Miraflores dove si faceva musica. Ogni tanto mi telefonava all’ultimo con un Sos: Juan Diego, vieni, mi si è ammalato il cantante. Avrò avuto 15 o 16 anni, è così che ho imparato a stare su un palco. Li dovevo far ballare fino a tardi, e non era per niente facile. Ripensandoci, credo che sia per quello che mi piacciono tanto i recital di canto. Alla Taberna ho imparato a instaurare un rapporto diretto col pubblico per tante ore ininterrottamente. All’opera entri ed esci, in un concerto non puoi mai mollare la tensione».
Il pubblico sudamericano non avrà problemi a farsi venire la pelle d’oca con «La pollera colorá» o «El tamalito». Ma come spiegherebbe questo repertorio ai suoi fan italiani?
«Racconterei di come contenga una quantità di emozioni, dalla malinconia all’allegria più sfrenata. E molti generi musicali, molti ritmi: Caballo viejo è un joropo peruano, Guantanamera una guajira, Aquarela do Brasil un samba. C’è Volver, uno dei tanghi simbolo di Gardel. Volevo che fosse un disco autentico, vicino allo spirito con cui cantavo questi brani molti anni fa: spero di esserci riuscito. L’unico modo era andare di sottrazione. Niente orchestra, poche percussioni, una chitarra».
Proprio da una chitarra tutto è ricominciato, giusto?
«La suonavo molto da ragazzo, poi l’ho trascurata. Per riprenderla solo recentemente, in casa, con i miei figli. È successo che alla fine dei concerti l’abbia tirata fuori per fare Besame mucho o Cucurrucucú come bis. Sono piaciuti, è lì che ha preso forma il progetto».
Flórez resta Flórez anche qui, e fa prodezze. Certi filati e certi pianissimi soprannaturali, appunto in «Cucurrucucú paloma» Qualcuna di queste canzoni è difficile come un’aria d’opera?
«Naturalmente si è trattato intanto di trovare uno stile, un modo diverso da quello che uso di solito. Ma la vera difficoltà è stata quella dello studio. Incidere un disco è complicato perché non hai un pubblico a farti da sponda, e con questo repertorio ti manca ancora di più. Hai bisogno d’intimità per creare un’esperienza fluida, spontanea».
Il cd contiene 18 tracce. Si rammarica di aver dimenticato qualcosa?
« Solo con pezzi messicani di dischi potrei inciderne altri quattro».
Intanto, aspettando gli altri possibili «Besame mucho», ci rimane una certezza. Lei sarà Alfredo al Metropolitan, il 4 dicembre, con Diana Damrau come Violetta. La sua prima «Traviata».
«Già, una parte certo non così ardua come il Duca nel Rigoletto, ma di grande soddisfazione, molto elegante, sofisticata. E con la possibilità di inserire un do acuto. Naturalmente se ce l’hai».
Con questo Verdi sta entrando in una nuova fase della carriera?
«La voce si evolve ed è da un po’ che mi ci sto preparando, introducendo nel repertorio Werther, Les Contes d’Hoffmann e altra musica francese, nella tradizione di Alfredo Kraus, e per esempio pensando di sicuro a Faust. Però ho capito di essere ancora in grado di fare un Rossini complicato (si riferisce a Ricciardo e Zoraide, andata in scena a Pesaro quest’estate, ndr). E dunque spero di tenere ancora a lungo con me questo meraviglioso mondo rossiniano, un surplus che non voglio perdere».
Alla Scala tornerà il 23 giugno con un gala all star dei Wiener Philharmoniker. Dudamel e Placido Domingo sul podio, con lei Jonas Kaufmann e Sonya Yoncheva, Yuja Wang al pianoforte. Che cosa combinerete?
«Di sicuro, alla fine salterà fuori una chitarra».