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 2018  settembre 27 Giovedì calendario

Intervista al baritono Luca Salsi

Doppio Macbeth, doppia prima: al Regio di Parma, giovedì, per il Festival Verdi; alla Fenice, il 23 novembre, per l’inaugurazione della stagione. In mezzo, sabato, c’è anche il debutto di un altro sempreVerdi, il nuovo Ernani della Scala. Lo Stakanov all’opera si chiama Luca Salsi, parmigiano doc «erre» compresa, 43 anni, baritono già celebre e celebrato per aver cantato al Met di New York due opere nello stesso giorno, Ernani (ancora) al pomeriggio e Lucia di Lammermoor alla sera.
Salsi, ma non canterà troppo?
«Ma no! Quello di New York è stato un caso. In realtà canto una quarantina di recite all’anno e ci sono colleghi che ne fanno anche il doppio. Ho sempre preferito la qualità alla quantità».
Il Macbeth del Festival Verdi è in realtà l’ur-Macbeth, quello del 1847 per Firenze, mentre di solito si esegue quello rifatto da Verdi nel 1865 per Parigi.
«La versione originale, chiamiamola così, l’avevo già fatta nel 2013 a Firenze. Musicalmente mi piace forse anche di più, ma magari soltanto perché Macbeth qui è ancora più protagonista. Canta di più, e canta difficile, con una scrittura quasi tenorile però su melodie bellissime».
L’obiezione che si può fare è: se Verdi l’ha modificato, perché non tenerne conto?
«Ma un Festival Verdi deve appunto proporre quel che altrove non si ascolta. Poi, di certo, il “nuovo” Macbeth è bellissimo, ripensato da Verdi dopo vent’anni, e che anni. Brani come “La luce langue” o la nuova versione del coro “Patria oppressa” sono fra le sue vette. Ma non è una ragione per non conoscere il primo Macbeth».
Dirige Philippe Auguin, regia «piovviginosa» di Daniele Abbado. Anticipazioni?
«Confermo che di pioggia ce ne sarà molta. Serve a evocare una Scozia atemporale e arcana. Lo spettacolo è tutto basato, in pratica, sulle luci e la recitazione. Del resto, Macbeth si presta a tutto, è un’opera fantastica. Chi ha mai visto delle streghe barbute?».
Da parmigiano, che effetto le fa cantare «in casa» e per un pubblico notoriamente difficilino?
«Con la mia città ho un rapporto speciale. Come cantante sono nato lì, nel Coro del Regio. A Parma ho vissuto grandi trionfi e anche momenti in cui non sono stato sostenuto. Se fai bene ti adorano, se non sei in forma possono essere anche molto duri. Fa parte del gioco, e va bene così».
Due giorni dopo la prima di Parma ci sarà quella dell’«Ernani» alla Scala. Chi gliel’ha fatto fare?
«Beh, se te lo chiede Pereira, se è la Scala dove hai appena fatto un 7 dicembre, se il teatro ti dà fiducia e lì canterai ancora molto, allora accetti. Tanto più che la scrittura di don Carlo, il mio personaggio nell’Ernani, è molto simile a quella del primo Macbeth, quindi non è faticoso passare da uno all’altro».
Poi ci sarà il «Macbeth» veneziano che attesissimo è dir poco, visto che dirige Myung-Whun Chung e la regia è di Damiano Michieletto. E tutti si chiedono cosa Michieletto stia architettando.
«Me lo chiedo anch’io, visto che devo ancora incontrarlo. Ma con lui ho fatto un Rigoletto ad Amsterdam che è stata una delle più belle esperienze della mia carriera. Io sono sempre dispostissimo a mettermi in gioco, basta che non mi chiedano di fare in scena qualcosa che va contro la musica». 
Se dico che lei oggi è il maggior baritono verdiano del mondo, che risponde?
«Che, appunto, lo dice lei. Io devo tutto al mio maestro, Carlo Meliciani, allievo di Carlo Tagliabue, per me ancora il miglior baritono verdiano che si possa ascoltare».
Un sogno?
«Cantare Rigoletto a Parma esattamente come Verdi l’ha scritto, senza acuti aggiunti, rispettando tutti i segni d’espressione, i pianissimi e così via».
Come crede che lo prenderebbero?
«Forse male. O forse no: capirebbero che è meglio così. Verdi era un ragazzo con le idee chiare, vogliamo dargli fiducia?».