Corriere della Sera, 27 settembre 2018
Intervista ad Alessandro Gassmann: «Mio figlio a X Factor? Bene, ma pensi alla laurea»
«È il racconto di un gruppo di antieroi, per certi aspetti dei falliti e dei perdenti, persone che hanno difetti e commettono errori. Personaggi credibili, con psicologie profonde, in cui il pubblico può immedesimarsi». Alessandro Gassmann torna a fare l’ispettore tra I bastardi di Pizzofalcone.
Presentata a Capri nell’ambito del Prix Italia, la seconda stagione (sei puntate) della serie di Rai1 parte lunedì 8 ottobre.
Lei è il leader di questi sconfitti, un perdente di successo...
«L’ispettore Lojacono è un uomo che ha subito un’ingiustizia, è stato mandato a Pizzofalcone per punizione. Ma da quell’abisso è riuscito a risalire, sempre con le sue imperfezioni. È uno che ha relazioni affettive complicate, sia con la figlia, sia con la Pubblico Ministero Piras (Carolina Crescentini). Però è un uomo generoso, perbene, è uno che mi piacerebbe frequentare anche nella vita reale. Sicuramente è meglio di me».
La serie nasce dai romanzi di Maurizio De Giovanni ambientati a Napoli, un luogo simbolico...
«Napoli raccoglie tutto il peggio e il meglio della società del nostro Paese, una società stratificata che va dai ricchi delle case aristocratiche alla gente dei vicoli, dalla borghesia alta o arricchita alla camorra. È un riassunto sociale dell’Italia. E poi mi sono ricreduto su Napoli».
In che senso?
«Ero vittima di luoghi comuni e pregiudizi. Pensavo: vado a Napoli e mi scippano. Ora mi sento adottato dalla città, dei napoletani mi piace l’orgoglio. Forse perché sono abituati a vivere in equilibrio, nelle difficoltà sanno tirare fuori il meglio, sono più attrezzati degli altri. E poi la città ha una vivacità culturale che in Italia in questo momento non ha eguali».
Lei fa l’estroverso per professione?
«In realtà sono un tipo silenzioso, un osservatore, non amo la mondanità. Solo quando faccio le interviste sembro un chiacchierone».
Tra commedia e dramma cosa preferisce?
«Mi sento attore di commedia, ma quella che piace a me, quella che ti tira fuori il sorriso nel momento drammatico e la vena malinconica in quello allegro. È la cifra che sento più mia e anche più vicina alla vita reale».
La fiction italiana è migliorata. Per essere ai livelli americani alla fine è solo questione di soldi?
«Intanto ci manca una lingua universale come l’inglese. Anche se ci sono prodotti, da “Gomorra” a “Suburra”, che sono stati comunque in grado di arrivare anche fuori dai nostri confini. Trovo che per i mezzi irrisori che abbiamo riusciamo a fare cose eccezionali, a vincere premi internazionali, a realizzare prodotti di qualità. Poi certo non bisogna dimenticare che la cinematografia è la seconda industria americana, dopo le armi e prima dell’automobile. Gli effetti speciali mi annoiano, ma gli americani sono capaci di fare serie tv sublimi».
Diceva che il pubblico si può riconoscere nei perdenti di Pizzofalcone, ma a leggere i social ci sono pochi falliti, è un popolo di tutti che sanno tutto...
«C’è una fetta di persone che parlano e non ascoltano a cui i social hanno dato un terreno fertile dove esibirsi. Ma poi per strada incontri la gente di prima, quella normale, di prima dei social. Io leggo anche le critiche, cerco di capire se c’è qualcosa di fondato. Se poi diventano aggressivi li blocco».
Gassmann, una famiglia di artisti: Vittorio che glielo dico a fare, poi lei, ora pure suo figlio Leo a «X Factor»...
«Non mi aveva detto niente. Si è presentato da me con la faccia di chi doveva dirmi qualcosa. Gli ho chiesto se aveva messo incinta qualcuna, se aveva menato qualcuno, se aveva una brutta malattia. A quel punto mi ha detto che aveva passato i provini dei giudici. La sua missione, lui lo sa, è finire l’università, però sono contento. È un bravo ragazzo, non fa il saccente, è educato e perbene. Sono orgoglioso di lui».