Corriere della Sera, 27 settembre 2018
Il dollaro egemone al test di Trump
Donald Trump sta usando gli straordinari muscoli del dollaro e la potenza economico-finanziaria degli Stati Uniti per fare avanzare non solo i suoi obiettivi commerciali ma anche per regolare questioni politiche. Per esempio attraverso le sanzioni alla Russia e all’Iran che non colpiscono solo i due Paesi ma potenzialmente anche chi fa affari con loro. È una strategia che nel breve periodo ha successo ma comporta rischi sul lungo. Potrebbe a esempio minacciare l’egemonia stessa del dollaro. Nei giorni scorsi, i ministri degli Esteri di Germania, Regno Unito, Francia, Russia e Cina, e in prima fila la rappresentante diplomatica della Ue Federica Mogherini, hanno annunciato l’intenzione di creare uno Special Purpose Vehicle (Spv) – sostanzialmente un meccanismo commerciale – per fare business con l’Iran aggirando le sanzioni imposte a Teheran da Washington. Come sarà congegnato questo Spv ancora non si sa: di certo, prevederà l’utilizzo di valute diverse dal dollaro per tutte le operazioni con l’Iran, dagli scambi sul petrolio alle armi. Non è detto che funzioni. Se però avesse successo, potrebbe rappresentare un modello per altri casi ed erodere l’egemonia della valuta americana. Oggi – secondo dati della Banca centrale europea – l’82,7% delle riserve valutarie mondiali sono in dollari (in euro il 20,1%, in yen il 4,9%, in renminbi l’1,2%). Lo è anche il 62,2% del debito internazionale, come il 56,3% dei prestiti internazionali e il 43,8% del volume sui mercati dei cambi. È dagli Anni Ottanta che si parla di fine del dominio mondiale del dollaro: in realtà, la sua posizione rimane fortissima, in alcuni momenti cala, in altri cresce, a seconda degli andamenti delle economie, ma una sua crisi non si è mai concretizzata. In quello che è forse l’indicatore più significativo della reputazione di una moneta, le riserve valutarie globali, quelle in dollari erano di 1.739 miliardi nel 2004 e sono arrivate a 6.282 miliardi alla fine del 2017. La posizione del biglietto verde è insomma estremamente difficile da attaccare e al momento è solida. La sua forza, dal dopoguerra, è stata quella di essere la rappresentazione concreta della stabilità, alla quale rivolgersi, ancora più del solito nei momenti di crisi. Usarla oggi come arma politica può minacciare il suo ruolo di àncora dell’economia mondiale.