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 2018  settembre 27 Giovedì calendario

In morte di Maurizio Zanfanti, lo Zanza

Pier Luigi Vercesi per il Corriere della SeraMorto in gloria, lo Zanza. Nella sua Rimini, a fine stagione. Maurizio Zanfanti diceva di avere il cuore tenero e se lo massaggiava infilandosi la mano sotto la spallina della salopette in pelle. Ma intendeva che ogni donna poteva aprirvi un varco, non immaginava un infarto. Quel suo cuore «accogliente» ha ceduto in battaglia, come succede ai Sioux a cui si ispirava, a notte fonda, mentre era appartato in auto con una ragazza di 23 anni, lui 63 non ancora compiuti. Quando sono arrivati i medici non c’era più nulla da fare.
A Rimini è calato il silenzio. E anche a Cervinia, dove faceva gli straordinari invernali avvolto in una pelliccia di peluche leopardata sopra alla stessa mise delle calde notti riminesi: camperos, pantaloni in pelle strizzati sui genitali, camicia nera sbottonata fino all’ombelico e oro a profusione. Nessun cinepanettone lo potrà mai superare.
Per vent’anni illuminò le notti romagnole. Record storico nell’anno del Signore 1985: da maggio a settembre, 287 conquiste, in maggioranza bionde, una spanna più alte di lui (dichiarava 1,71, ma con i tacchi), eloquio ugro-finnico, che fingeva di non comprendere per spiare i commenti tra amiche. Il suo successo con le donne era un indice attendibile per misurare l’andamento della stagione economica riminese. Anche il 1986 andò bene, poi le agenzie di viaggio cominciarono a dirottare le nordiche in Spagna, Grecia e Tunisia, incolpando Rimini di avere troppe pensioncine e pochi appartamenti con piscina. Le mucillagini fecero il resto. L’unico locale a non patire era il Blow Up, dove lo Zanza faceva il buttadentro («pablic relession, plis») da quando aveva 17 anni. L’Azienda autonoma lo chiamò: «Mi raccomando, dacci una mano a tenere su il buon nome di Rimini all’estero». Maurizio Zanfanti, con un paio dei suoi, andò in tour in Svezia: «Se la patria chiama, si rinuncia a star tranquilli anche il giorno dei morti». Lì si accorse di essere una star. Non lo prendeva per i fondelli quel tale di Bologna quando disse di aver visto sul comodino di una signora di Stoccolma la foto dello Zanza. Registrò persino un disco, in Svezia, scimmiottando Jon Bon Jovi: la voce non era la sua, ma la faccia sulla custodia del 45 giri sì. I giornali di gossip lo raccontavano come la grande attrazione di Rimini, insieme al Grand Hotel e a Fellini. La Bildtedesca gli dedicò un servizio di due pagine. Sedusse una giornalista che lo stava intervistando, e lei lo raccontò nel suo articolo.
Non era figlio d’arte, Maurizio. Suo padre, pescivendolo, era stato fedele per tutta la vita a sua madre, sposata a 17 perché in dolce attesa del futuro Zanza. Ma a 13 anni aveva già capito che la pescheria paterna poteva attendere: prima avrebbe tentato la carriera di Casanova della Riviera. A 17 anni aveva sbaragliato la concorrenza. Il suo fascino, dicevano le fan, a dispetto di ciò che lui potesse credere, era la dolcezza. Non aveva nulla del maledetto, nonostante l’abbigliamento, diciamo, poco discreto: era astemio, non fumava, mai fatto uso di droghe e nemmeno eccedeva nel cibo. Il primo dei suoi comandamenti era: mai andare oltre la dolcezza, se non capisci che l’interesse è condiviso.
Un giorno gli chiesero qual era la cosa più bella che si era sentito dire, immaginando fosse il complimento di una donna. Lui rispose: «Il grazie di un tale quando ha capito che per me l’amicizia conta più di una s...».

***

Michele Serra per la Repubblica
Zanfanti Maurizio, di anni 63, in arte “Zanza”, noto da molti anni come seduttore seriale, è morto l’altra notte per un malore nella sua Rimini mentre, come appuntano le cronache, «si era appartato in macchina con una giovane straniera». Ogni ironia a proposito dell’ennesimo caduto sul lavoro rischia di essere inopportuna perché lo Zanza, si trovasse al bar con gli amici o con l’inviato della Bild che lo intervistava, era il primo a parlare di se stesso in termini fermamente professionali.
È probabilmente in seguito a questa tetragona dedizione che lo Zanza ha potuto attraversare indenne e probabilmente ignaro, per quarant’anni filati, qualunque mutamento o sussulto dell’etica sessuale così come dell’etica del lavoro, e di qualunque altro genere. Il solo intoppo fu di natura sanitaria: a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta il repentino diffondersi dell’Aids, e relativo spavento, portò a una significativa riduzione del suo bilancio erotico, appena un centinaio di "conquiste" a stagione contro le circa centocinquanta-duecento che usava attribuirsi, per altro in assenza di un effettivo riconoscimento ufficiale o vidimazione o registrazione in Libri e Albi.
Fu la versione popolare e di massa (è il caso di dirlo, numeri alla mano) della figura del playboy, oggi decisamente in ombra (manca perfino la forma aggiornata dell’influencer sessuale; e la pornostar è un’altra cosa) ma nei Sessanta e Settanta molto presente nella mitologia da rotocalco e da cinegiornale. Solo che Rimini non era Saint-Tropez e neanche Portofino, i primi charter di turisti del Nord Europa non scaricavano Brigitte Bardot – e nemmeno la Schiffer o Liv Ullmann – e di conseguenza lo Zanza non fu Gigi Rizzi.
Faceva il buttafuori al "Blow Up", uno dei cento locali notturni della Riviera che la pigrizia giornalistica obbliga a definire "mitici". Nel mitico Blow Up, dunque, cominciò a soli diciassette anni la sua attività, alla luce dei fatti usurante, di amatore multiplo, corteggiando oppure venendo corteggiato dalle famose "turiste nordiche" che già da un paio di decenni, diciamo da quanto la commedia all’italiana aveva canonizzato ilfenomeno, erano la selvaggina prediletta del cosiddetto latin-lover. O viceversa.
Banalmente, era accaduto che i costumi sessuali, specie quelli femminili, si erano liberalizzati molto più velocemente al Nord che nei paesi mediterranei. Il cosiddetto "divertimentificio" della Riviera romagnola, nella versione più cruda scopificio, mieteva migliaia di fidanzamenti di una sola notte, ma contribuiva a un fatturato ben più duraturo, che lasciava segni per tutto l’anno.
Zanza non ammise mai pagamenti in suo favore: nel caso sarebbe stato un gigolò, accompagnatore sessuale prezzolato, cosa ben diversa dal playboy, sia pure nella versione seriale da lui incarnata a beneficio di vaste comunità straniere. "Alle italiane ci pensa mio fratello", volle puntualizzare quando lo intervistai, nella remota estate dell’85, a Rimini tra i gelati e le bandiere, giusto per citare De André anche se non c’entra niente. Mi parlò della sua attività come se fosse una specie di funzionario della Pro Loco, un fornitore d’opera nel nome del prestigio del suo locale (mitico), di Rimini e della Riviera per quanto è lunga.
Era un ragazzone biondo con i capelli lunghi, fisico atletico, molte collane e collanine, pantaloni a zampa d’elefante neri, canotta nera, insomma, lo dico arbitrariamente, stile Roberto Cavalli ante-litteram e fai-da-te, roba genuina, di bancarella e di popolo.
Probabilmente di terital. Me lo aspettavo un poco bullo, fu molto gentile, solo un poco monocorde nel ribadire che per lui quello era una specie di dovere di ospitalità, un ruolo di rappresentanza, un servizio per la comunità.
Insomma sciorinò una specie di versione da lungomare, da long-drink con l’ombrellino di carta, del motto della sposa devota, "non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio", la copula come virtuosa missione sociale. Devoto, tecnicamente, era anche lui. Fu una delle interviste più noiose della mia vita.
Diceva che lui si accoppiava «solo con le belle», ma rendendosi conto che la legge dei grandi numeri lo smentiva, aggiungeva subito (professionale) che «a me comunque sembrano tutte belle». Non ho trovato sue foto recentissime, chissà se portava ancora i capelli lunghi e la canotta nera, alla sua età. Era ormai quasi in zona Fornero, quanto a pensionabilità, ma nella felice condizione di non attribuire nessuna importanza a scadenze legali e sindacali.
Anche l’orario notturno, e pure i doppi e tripli turni, furono una sua scelta, sottratta al dibattito politico. Fa piacere leggere che la sua ultima accompagnatrice, secondo le cronache locali, certamente attendibili, era «una giovane e bellissima ragazza rumena». Si vocifera, anche, che non fosse una turista sedotta, ma una escort seduttrice; ma sono, queste, imperscrutabili variazioni sul tema. L’importante è che sia consapevole, la giovane e bellissima, di essere l’unica testimone dell’addio del mitico protagonista di una mitica stagione nella mitica Riviera.
Chissà che qualcuno non voglia ricordarlo con una targa al mitico Blow Up.