Corriere della Sera, 27 settembre 2018
Parla il chirurgo plastico Marco Klinger: «Credo nel diritto alla bellezza»
Il 1° ottobre, Marco Klinger terrà a Chicago la Maliniac Lecture al congresso della Società di chirurgia plastica americana, in seduta plenaria, davanti a novemila colleghi di tutto il mondo. Tenere quel discorso è un po’ come ricevere il Pulitzer della chirurgia plastica. Lui dice: «Lo considero un premio all’Italia, che in questo campo è diventata un riferimento mondiale: io e una trentina di colleghi siamo fra i più considerati e citati».
Che cosa dirà quel giorno?
«M’interessa anzitutto aprire con la foto di mio papà Roberto. Era il medico dell’Inter e il medico di tutti. Mi ha insegnato che non puoi essere medico se non sei di buon cuore. Per me, la vecchietta povera che ha perso un seno per un tumore vale quanto la contessa che viene a rifarsi le tette».
Perché la chirurgia plastica italiana è diventata così influente?
«Per almeno quattro o cinque grandi scoperte in tema di grasso e di chirurgia mammaria. La prima è di Gino Rigotti, che per primo ha ricostruito i seni operati per tumore con grasso anziché protesi, dimostrando che il grasso, ricco di cellule staminali, migliora i danni da radioterapia. Io, con una ricerca del 2008 condotta all’Humanitas di Milano, dove sono responsabile dell’unità di chirurgia plastica, ho scoperto che se prelevi il grasso dal paziente, lo centrifughi e lo metti nelle cicatrici da ustioni, i tessuti si rigenerano e i visi recuperano la mimica. È stato uno dei lavori più importanti degli ultimi vent’anni. Ora, la tecnica è usata in tutto il mondo e io la adotto anche per i lifting. Ho anche scoperto che, nella chirurgia mammaria, mettere il grasso nelle cicatrici toglie il dolore».
Le altre ricerche?
«Sono mie altre due: l’intervento al seno senza cicatrici verticali e la nuova classificazione delle malformazioni mammarie. Coi miei collaboratori, ci siamo accorti che il 40 per cento degli interventi al seno degli ultimi anni erano su seni “tuberosi”, corti, storti, di dimensioni diverse o con areole che tiravano verso il basso… L’ipotesi è che dipenda dagli inquinanti ambientali, dagli ormoni nei cibi che mangiamo. Sono aumentati anche i casi di mammelle anomale negli uomini».
Come ha eliminato le cicatrici verticali al seno?
«Incidendo solo le areole, dove le cicatrici restano meno visibili. È stata una rivoluzione estetica».
A cosa si deve la vivacità nel suo settore?
«Umberto Veronesi ha fatto passare il concetto che, in caso di tumore, non sempre è necessario asportare l’intero seno, ma che la quadrantectomia unita alla radioterapia dà dignità alla donna e ne migliora l’umore, aiutandone la ripresa. Questo, dagli Anni 80, ha posto nuove sfide e dato slancio alla chirurgia mammaria ricostruttiva, attirando i chirurghi più bravi. Prima, la chirurgia plastica era poco considerata. Io ho pianto quando, dopo la laurea nell’80, i miei maestri mi hanno spinto in questa direzione, sostenendo che era il futuro. Mi sentivo bravino e mi sembrava di squalificarmi, ma dopo una settimana accanto a Luigi Donati al Niguarda ero innamorato di questo mestiere».
In che modo ha visto cambiare la chirurgia plastica in quasi quarant’anni di attività?
«Oggi è tre cose: biotecnologia, nuove tecniche e fantasia. E se prima era quasi da jet set, ormai vi ricorrono persone di tutti i tipi. In un mondo dominato dall’estetica, un genitore che ha una figlia bruttina sente che parte svantaggiata».
In giro, si vedono seni esagerati e facce picassiane.
«Quella non è chirurgia estetica, ma chirurgia fatta male, l’unica che si nota: di quella fatta bene non ti accorgi. Se ti operi il naso, ti devono dire: come sei carina, hai cambiato taglio di capelli?».
Molti con quelle facce e quei seni si vedranno belli.
«Il rapporto perfetto è fra chirurgo perbene e paziente intelligente, così come fra chirurgo bandito e paziente scemo».
Secondo l’Accademia di plastica facciale americana, il 55 per cento dei ritocchi al viso sono fatti per venire bene nei selfie.
«Questa dei selfie agita tutti i chirurghi. Ne abbiamo parlato al congresso mondiale a Bergamo e io, ai pazienti che arrivano con la loro foto sul cellulare, devo spiegare che un naso fedele al proprio si vede solo se lo fotografi con una buona macchina digitale da due metri e poi ingrandisci l’immagine».
Il brasiliano Ivo Pitanguy, che convinse il presidente Juscelino Kubitschek a riconoscere «il diritto alla bellezza», nel 2014, ha firmato la prefazione di un suo libro. Anche lei crede nel diritto alla bellezza?
«Perché no? In questi anni, è difficile sentirsi adeguati. È una caratteristica rimasta solo alle persone intelligenti».