La Stampa, 26 settembre 2018
L’umanità in un mosaico. Un’opera digitale collettiva svela i meccanismi della cultura
Il risultato è un caos ordinato, in cui convivono Monna Lisa e un testo ispirato a «Star Wars», il viso di David Bowie e una copertina dei Pink Floyd, folle di emoticon e sequenze geometriche da ipnosi. Accanto e intorno, simili ad apparizioni da videogame, loghi, sigle e simboli. Il tutto immerso in un brodo di Pokemon affannati e bandiere di grandezze variabili. Definitelo come volete: un gigantesco affresco digitale o uno shock visivo. Oppure un esperimento estetico. Ma è anche altro: uno specchio nel quale stiamo contemplando, tra sorpresa e fastidio, come ragioniamo noi umani.
Quest’opera collettiva, intitolata «Place», si è infatti guadagnata un decisivo «upgrade»: nata come un gioco-provocazione, in cui stuzzicare il meglio e il peggio del capriccioso popolo di Internet, adesso si è tramutata nell’oggetto di una serissima indagine scientifica. Che in quel mosaico da vertigine – secondo le conclusioni di due studiosi del Max Planck Institute a Jena (Germania) – sostiene di aver visto, niente meno, il modello dell’evoluzione culturale dell’umanità.
Regole e limiti
L’idea iniziale e le regole erano state stabilite dalla popolare piattaforma Reddit: una sorta di sontuosa tela virtuale di 1000 pixel per 1000 da concedere a chiunque volesse esibirsi. Con una limitazione, però. Ogni utente-artista poteva applicare i propri pixel uno alla volta, in uno spazio di tempo compreso tra cinque e 20 minuti, scegliendo da una tavolozza di 16 colori. Il via è scattato il 1° aprile 2017 e nelle 72 ore successive oltre un milione di persone, da tutto il mondo, si è affacciato su quello spazio vergine, ciascuno con la sua sequenza di pixel e tante idee in fieri e, di fronte, il monito degli organizzatori: «Individualmente puoi creare qualcosa. Insieme potete creare qualcosa di più».Rapidamente, più di quanto apparisse prevedibile, i singoli pixel sono diventati le tessere multicolori di un mosaico organizzato, componendo figure di senso compiuto. Piccole e grandi, si sono date battaglia per conquistarsi uno spazio proprio. E l’hanno ottenuto nell’unico modo possibile: organizzando una collaborazione spontanea tra sconosciuti, che si sono velocemente accordati e poi coalizzati contro altri gruppi. Mentre le immagini prendevano corpo, infatti, anche le rivalità emergevano, cementando i «club» e spingendoli a sfidarsi. E così, tra equilibri sempre incerti, si è manifestata la potenza delle leggi della cooperazione e di quelle del conflitto: le une avevano bisogno delle altre. E viceversa.È scattato un universale tribalismo, di luce e di ombre, e ha funzionato da motore per la creatività degli anonimi «pittori». Il risultato è, appunto, «Place», un’opera che – nell’analisi di Thomas Müller e James Winters appena apparsa su «PlosOne» – svela le similitudini tra l’adattamento biologico e l’evoluzione della cultura (che in questo caso è soprattutto «geek», «nerd» e «pop» e assai poco intellettuale).
Batteri in coltura
«È come osservare un batterio in coltura – ha spiegato Müller -. Viste le limitazioni di spazio e risorse, la composizione ha creato un ecosistema stabile». Con un elemento che aggiunge una significativa differenza: l’inestirpabile identità di ciascun partecipante. Se all’inizio ogni ego ha cercato di imporsi, spalancandosi su un’universale confusione, questa si è poi stemperata, permettendo la semplificazione da cui è sbocciato tutto, anche il sottomarino giallo dei Beatles e la «Stars and Stripes» americana. Sono due prove, nella folla delle immagini, dell’emersione di una struttura coerente. Che, accogliendo una moltitudine di significati (le bandiere sono la manifestazione clamorosa del senso di appartenenza), evidenzia la propensione della nostra specie a cercare una qualche forma di ordine, senza la quale nessuna cultura sarebbe possibile.
Concetto che gli autori della ricerca semplificano così: «Stiamo meglio per contro nostro. Ma, se tu prendi qualcosa da me e io qualcosa da te, allora saremo tutti più al sicuro».