la Repubblica, 26 settembre 2018
Dimmi come ti chiami (ma in ideogrammi) e in Cina venderai di più
Il primo carattere, shi, indica il fare. Il secondo, an, la pace. Il terzo, di, le radici. Non male per evocare i dolci vigneti della Toscana. E insieme Shi-an-di, la parola suona quasi come l’originale: Chianti. Da ieri uno dei vini più pregiati d’Italia ha anche un nome in mandarino, registrato e pronto da affiancare all’originale sulle bottiglie. Una svolta che vale le kafkiane trafile all’ufficio marchi di Pechino, dicono entusiasti dal consorzio del vino toscano. Perché la Cina che scopre ricchezza e status symbol mette i vini europei in cima alla lista. Ma fuori dalle grandi metropoli, dove pure rossi e bianchi crescono alla grande, l’alfabeto latino resta ancora uno sconosciuto.Trovare il nome giusto con cui presentarsi al Dragone, persone o merci non fa differenza, è il primo passo per far breccia nei cuori.
A patto di sceglierlo bene però; un vero dilemma linguistico. Facendo il calco esatto della pronuncia infatti il rischio è ritrovarsi con dei caratteri che significano tutt’altro, fuori contesto o addirittura spiacevoli a orecchie cinesi. Lo sanno bene quelli del consorzio vino Chianti, che qualche anno fa avevano già ribattezzato il loro rosso Kangdi, cioè “la salute dell’imperatore”, salvo scoprire alle prime fiere che il messaggio non arrivava.
Rimanendo fedeli al significato invece, come per esempio hanno fatto quelli di Red Bull, il toro rosso, bisogna accettare che il suono originale sia “lost in translation": la loro bevanda in Cina si chiama Hong Niu.
Mentre quando un paio di anni fa McDonald’s ha cambiato nome, da Maidanglao a Jingongmen, gli “archi dorati” che sono anche nel suo logo, lo spietato popolo del web si è sbizzarrito, chiedendo se per caso tavoli e sedie fossero commestibili.La magia insomma va cercata nel mezzo, in un sottile equilibrio di suono e significato. E chi se non gli squali del marketing di Coca-Cola potevano fare scuola? Circa 40 anni fa, avvicinandosi alla Cina che si era appena aperta all’economia di mercato, decisero che la bevanda si sarebbe chiamata Ke-kou-ke-le, “deliziosa felicità”. Suono familiare, ma arricchito di un sapore che l’originale non ha. Nel complesso un marchio addirittura migliore. Ecco perché oggi da queste parti, caso unico, i caratteri latini sono scomparsi dalla lattina.
Man mano che il mercato del Dragone cresce di valore, l’arte del secondo nome mandarino diventa sempre più importante: un’occasione di raffinata reinvenzione, guidata da una corte di consulenti e focus group.
Bmw per esempio si è cambiata le generalità in Baoma, “il cavallo del tesoro”.Il social network per professionisti LinkedIn è Lingyin, cioè “l’élite che guida”. Starbucks ha tradotto per significato la prima parte, xing, stella, e per suono la seconda, bake. Airbnb ha provato a esagerare con Aibiying, “accogliersi a vicenda con amore”, salvo beccarsi parecchie critiche per aver creato una specie di scioglilingua.
D’altra parte se non ti scegli un nome, ci pensano i consumatori cinesi a dartelo mentre fanno la spesa, e allora cambiarlo diventa un problema. O magari qualcuno se lo ruba, guai ancora peggiori in un Paese che ogni anno registra più marchi di Europa e Stati Uniti messi insieme. Pfizer non è riuscita a impedire al produttore cinese Viaman di vendere Weige, “il fratello potente”, equivalente del Viagra. Mentre solo dopo lunghe battaglie legali Michael Jordan è riuscito a recuperare i diritti sul proprio nome di famiglia, Qiaodan, e Pirelli far cancellare il marchio Peineili, con cui una società locale vendeva lubrificanti intimi. Al secondo tentativo, ora anche il Chianti è registrato all’anagrafe. E quello che per noi è il sapore della Toscana, basta il nome, in Cina sarà Shiandi: “il fare”, “la pace” e “le radici”.