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 2018  settembre 26 Mercoledì calendario

Il sorpasso delle dottoresse (ma il capo è sempre lui)

La differenza è ancora ridotta ma ormai il sorpasso è compiuto: negli ambulatori, nelle cliniche private, nei centri diagnostici e nei reparti ospedalieri italiani ci sono più donne che uomini con addosso il camice bianco. I dati degli iscritti agli albi degli Ordini dei medici raccontano di una prevalenza del sesso femminile tra coloro che hanno da 25 anni, cioè sono freschi di laurea, a 64, e quindi si avviano verso la pensione oppure l’hanno già raggiunta. Il divario tra i professionisti attivi è di 4mila unità.
Appena cinque anni fa il mondo sanitario era capovolto. A quel tempo gli iscritti maschi sotto i 64 anni erano circa 23mila in più delle femmine. Per questo motivo oggi si trovano più uomini tra i medici anziani, in certe fasce di età addirittura il triplo rispetto alle donne. Sono numeri che raccontano di un tempo che fu e che non è destinato a tornare, visto che tra gli iscritti più giovani c’è una prevalenza del sesso femminile molto marcata. Un esempio? Tra i 35 e i 39 anni le femmine sono praticamente il doppio dei loro colleghi: 19.000 contro 10.500.
La Fnomceo, la federazione nazionale che raccoglie gli Ordini dei medici provinciali, nei giorni scorsi ha fatto un convegno a Venezia sui quarant’anni del sistema sanitario nazionale durante il quale si è parlato anche delle donne medico. «Il cambiamento di genere della nostra professione implica la messa in atto di scelte strategiche e politiche che tengano conto delle mille sfaccettature della vita, non solo professionale, di una donna medico», ha spiegato il vicepresidente della Federazione, Giovanni Leoni. Per questo, dice, è necessario pensare, ad esempio negli ospedali, a «una turnistica rispettosa, a ritmi di lavoro che non rendano troppo penalizzante per la vita personale, familiare e di relazione della professionista la scelta di fare il medico».
Magari poi si dovrà discutere anche dei ruoli apicali. La stessa Fnomceo, che come visto rappresenta ormai tra gli iscritti attivi più donne che uomini, ai suoi vertici ha una presenza femminile scarsissima. Su 22 persone tra presidente, vicepresidente, segretario, membri del comitato centrale e revisori dei conti c’è solo una dottoressa, in quest’ultimo organismo. Non che le cose siano molto diverse se si vanno a vedere i rappresentati dei sindacati dei medici ospedalieri e universitari oppure se si analizzano le presidenze delle società scientifiche, dove comunque qualche mosca bianca c’è.
All’interno del sistema sanitario nazionale, cioè nelle Asl, il sorpasso non è ancora avvenuto ma le donne rappresentano circa il 43% dei dipendenti della sanità pubblica. Malgrado questo si ripete il problema dei ruoli di vertice. Le donne primario sono molte meno degli uomini, 1.150 contro 6.200. In certe specialità trovarne una è un’impresa. Ad esempio nella chirurgia generale. «Sì, credo che siamo in tutto 7 su circa 340 direttori di unità operativa in Italia». A parlare è Tiziana Viora, che da un anno dirige appunto la chirurgia generale dell’ospedale Maria Vittoria di Torino. «Non sono per le quote rosa, non fanno per me dice – E non voglio nemmeno che un primario donna faccia notizia».
La dottoressa spiega come la chirurgia sia sempre stata una branca maschile. Adesso anche tra chi impugna il bisturi le cose stanno rapidamente mutando.
Due anni fa proprio a Torino alla specializzazione si sono iscritte solo donne, 17 neolaureate. Secondo Viora tra i motivi del cambiamento c’è anche quello economico. «Il mestiere del medico oggi è sottopagato, salvo per le specialità dove si può fare tanta attività privata, e in certi casi molto pesante. Così gli uomini che cercavano una facoltà per fare soldi non lo scelgono più. Resta di loro chi vive la medicina come una missione. Inoltre già dal liceo le ragazze hanno rendimenti scolastici migliori e Medicina è una facoltà difficile, già dal test di ingresso».
Se le dottoresse aumentano dovrebbero avere anche più ruoli di vertice in reparti, sindacati, società scientifiche. «Qui entra in gioco un altro fattore – conclude la dottoressa Viora – Gli uomini arrivano in cima perché hanno più tempo a disposizione fuori dalla famiglia rispetto alle donne».