Corriere della Sera, 26 settembre 2018
L’America-incubo dei nostri migranti
«Molte volte, sostando sul ponte, mi fermavo a guardare le pietre bianche e asciutte del suo letto secco, con una gran voglia di gettarmi a capofitto e sfracellarmi il cranio sovr’esse. (...) Fu allora che decisi di venire in America. Il 9 giugno 1908 lasciai i miei cari. Era tale la piena del dolore in me che li baciai e strinsi loro le mani, senza poter pronunziare sillaba».
Le lettere di Bartolomeo Vanzetti alla famiglia ricordano bene com’era la nostra emigrazione. A partire dal viaggio, dal primo letto («un meschino alloggio in una casa equivoca») e dal primo lavoro, sguattero. «La pantry era orribile.
Nessuna finestra; se si spegneva la luce elettrica bisognava fermarsi, o muoversi a tastoni, brancicando nel buio per non urtarsi l’un l’altro o inciampare negli oggetti. Il vapore dell’acqua bollente che saliva dalle vasche ove si lavavano le terraglie, casseruole e argenteria, formava grosse gocce di acqua attaccate al soffitto dal quale cadevano una a una sulle teste madide di sudore. Nelle ore di lavoro il caldo era orribile. I rifiuti delle mense, ammassati in appositi barili, emanavano esalazioni intossicanti. (...) Si lavorava un giorno dodici e uno quattordici ore; ogni due domeniche si avevano cinque ore di uscita».
Ancora: «I poveri dormivano all’aperto e rivoltavano le immondizie nei barili per trovare una foglia di cavolo od una mela marcia. Per tre mesi percorsi New York per lungo e per largo, senza riuscire a trovare lavoro». Prima in giro per le campagne, poi di nuovo a Manhattan: «Per cinque mesi, battei i marciapiedi di New York, senza riuscire a trovar lavoro, non già del mio mestiere, ma neppure da sguattero. Infine capitai in una agenzia di Mulberry St., che cercava uomini per lavori di spianamento. Mi offersi: venni condotto, con un branco di altri cenci umani, in un baraccamento fra i boschi, nelle vicinanze di Springfield, Massachusetts, ove si costruiva un tronco di ferrovia»... E poi a vender pesce e poi tagliare ghiaccio e poi spazzare la neve e poi a movimentare traversine... Senza mai un lavoro stabile, un letto come si deve, un po’ d’amore. E meno male che «i nostri nonni andavano sempre dov’erano bene accolti e c’erano spazi e case e lavoro per tutti...».