Corriere della Sera, 26 settembre 2018
Lo spogliatoio invaso dagli smartphone
Vietati a tavola. Banditi in pullman. Vade retro nelle riunioni tecniche, quando il coach spiega come battere gli avversari ed esige attenzione assoluta. Ma ormai non basta più. «Nell’intervallo dei match contro Polonia e Ungheria mi hanno riferito che alcuni giocatori hanno usato il cellulare nello spogliatoio – è il grido d’allarme di Meo Sacchetti, c.t. della Nazionale di basket italiana —. Non so se essere più arrabbiato o deluso...».
È la generazione look-down, bellezza, cresciuta gobba con gli occhi fissi sul telefonino in una società liquida che mette al centro la Rete e ne fa oggetto di apologia (Zygmunt Bauman), e tu non puoi farci niente. Alla regola non sfuggono i professionisti dello sport, rimbrottati come discoli da allenatori sull’orlo di una crisi di nervi (Pep Guardiola aveva addirittura pensato di far schermare il centro d’allenamento del Manchester City prima di valutare che lo sforzo non sarebbe valso la spesa: i calciatori s’infrattavano nei cespugli pur di agganciare il segnale). E se a confermare il malcostume provvede anche il guru Francesco Totti nella sua autobiografia «Un capitano» – «Gli spogliatoi sono stati rovinati dai telefonini: in ritiro, ognuno si isola in camera sua a navigare e mandare messaggi. Così muore il gruppo...» —, allora significa che il problema è serio.
Dalla sfuriata di Fabio Capello ai tempi della panchina dell’Inghilterra (vassoio scagliato contro il muro quando si accorse che un giocatore aveva mandato di nascosto un sms a tavola), dal pugno di ferro di Louis Van Gaal con i miliardari del Manchester United (obbligo di consegna dello smartphone alla vigilia di un big match), dalle minacce di Paolo Di Canio al Sunderland («Se sento un telefonino che suona lo lancio nel Mare del Nord!»), paiono trascorsi anni luce. Aggirare le regole è diventata una nuova disciplina. Sacchetti allarga mestamente le braccia: «Ho perso la battaglia a pranzo, dove tutti portano e usano il cellulare. In pullman viaggiano con la testa bassa sullo schermo. Non siamo la gestapo, ma così non va bene. Ora vediamo il presidente della Federbasket come agirà, magari togliamo la diaria a questi ragazzi e la prendo io...».
L’emergenza, oltre che sociale, rischia di diventare posturale. La disabitudine di guardare dritto davanti a sé amministrando una palla tra le mani o tra i piedi, potrebbe cominciare a influire sulle prestazioni. Per impedire ai suoi nazionali di perdere per strada la visione periferica, una dote fondamentale nelle dinamiche della palla ovale, la Federazione rugby inglese ha proibito l’uso del telefonino dal primo all’ultimo minuto del ritiro.
Nel magma incandescente, spiccano due esempi agli antipodi. Cristiano Ronaldo, 74 milioni di follower su Twitter e mai una multa per indisciplinatezza con lo smartphone in mano. E Sebastian Vettel, il pilota Ferrari anti-social per eccellenza: «Preferisco una stretta di mano a un cinguettio». Poi c’è il campione del mondo di Formula 1 Lewis Hamilton, convertito sulla via dell’Havana: «Due settimane paradisiache di vacanza a Cuba: non funzionava niente. Finalmente ho ricominciato a guardare in faccia la gente».