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 2018  settembre 23 Domenica calendario

David Litt, il ghostwriter umoristico di Barack

«La storia americana sarebbe la stessa senza di me. Eccetto per quel paio di battute che ho suggerito a Barack Obama…». David Litt, trentuno anni, risponde al telefono del suo ufficio di Washington in preda a un terribile raffreddore. Ciò non lo fa rinunciare nemmeno per un istante a quella vena ironica che nel 2011, a ventiquattro anni e avendo in curriculum la sola collaborazione alla rivista satirica online The Onion, lo portò alla Casa Bianca. Diventò così il più giovane speechwriter del presidente. Oggi producer del sito web Funny or Die, Litt ha raccontato quegli anni incredibili nel suo ultimo libro Grazie Obama.
Nel libro si descrive come una sorta di “tuttofare retorico": in cosa consisteva, davvero, il suo lavoro?
«Speechwriter del presidente dà un’idea d’accesso e di influenza, vero? Ma io al massimo passavo un foglio scritto a qualcuno che lo dava a Barack Obama. Il mio lavoro consisteva nell’ascoltare: il capo dice dove vuole arrivare e tu lavori sulla cornice retorica. Con il presidente era semplice: sapeva cosa voleva dire ed è un ottimo scrittore. Gli passavo il foglioe lui lo migliorava».
Lei scriveva soprattutto battute. Come si trasforma un presidente americano in qualcuno che fa anche ridere?
«Obama è un tipo da osservazione con battuta a effetto e non certo un narratore di barzellette. Stavamo attenti a fare battute di buon gusto e mai generiche: basate su fatti riconoscibili e non estrapolabili. Vietato, per esempio, scherzare sulla sicurezza nazionale: se succede qualcosa i social trasformano anche un vecchio scherzo in cattiva propaganda. E mai prendere in giro le persone per il loro aspetto fisico: solo per quel che fanno».
Quale battuta passerà alla storia?
«Quella che Obama disse alla cena dei corrispondenti del 2013 dopo aver vinto il secondo mandato: “I repubblicani stanno riflettendo sulla sconfitta e pensano di non aver lavorato abbastanza con le minoranze. Hallo? Dialogate con me: tanto per vedere com’è…”. Purtroppo è attuale ancora oggi».
Nel libro racconta l’entusiasmo di avere vent’anni nell’America di Obama. Com’è averne trenta in quella di Donald Trump?
«La leva di Obama era l’ottimismo: e quale giovane non vuol guardare avanti? Quella di Trump è il pessimismo, infatti è uno che per strappare una risata offende. Molti americani, me incluso, sono orripilati da quel che fa. Eppure, a sorpresa, oggi l’atmosfera non è diversa dal 2008. A causa di Trump molti sono tornati a fare politica attiva».
Ma ai dem manca un nuovo leader.
«Siamo alla fine del 2018, il che equivale alla fine del 2006, quando la gente non immaginava chi avrebbe guidato il partito alle presidenziali del 2008. E nuovi leader emergeranno».
Poche settimane fa Barack Obama è tornato a far sentire la sua voce definendo Trump un nemico della democrazia: starà pensando di tornare in campo?
«Obama ha sempre detto che “non devi per forza avere qualcuno che ti ispiri per fare la cosa giusta”. Lo rivedremo parlare di priorità essenziali ma non di questioni specifiche. Ci ha insegnato che a cambiare le cose non è mai un solo uomo ma un’intera comunità».
Scrivere per una figura così eccezionale non l’ha costretta a mettere troppo da parte la sua personalità?
«Chi scrive libri vuole esprimere al meglio sé stesso, ma se il tuo lavoro è scrivere discorsi per altri sai che devi far esprimere al meglio quella persona. Amavo sentirlo declamare cose che avevo scritto io: quel suo modo speciale le rendeva sempre migliori. Ho colleghi che non possono dire lo stesso. Scrivono cose ottime, poi chi le usa non sa farlo con efficacia».
Lavorerebbe per Donald Trump?
«Mai».
Suggerimenti, battute a parte, per chi scrive i discorsi dell’attuale presidente?
«Lasciare immediatamente. Perché se è vero che in questo mestiere non devi per forza condividere ogni parola del tuo capo, devi comunque crederci in buona parte. Non conta quanto sia bello il tuo biglietto da visita: non puoi lavorare per qualcuno che oltrepassa ogni decenza».
Ora lavora a un sito che produce video satirici: cosa ha portato dalla Casa Bianca?
«Alla Casa Bianca il nostro motto era” incontriamo la gente a casa loro”, ovvero veicoliamo il messaggio lì dove la gente lo consuma. A Funny or Die facciamo lo stesso: la ricezione delle informazioni sta cambiando e un video satirico può far bene a una campagna politica o etica più di mille petizioni e articoli di giornale»