la Repubblica, 25 settembre 2018
Omeopatia, i perché di un successo
Dopo un periodo di grande espansione, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso la diffusione e la percezione sociale dell’omeopatia ha subito un brusco calo a livello mondiale. Oggi sappiamo che molti dati nazionali circa l’uso di questa pratica sono in realtà inattendibili. La European Social Service ha infatti condotto un’indagine su 21 Paesi europei per capire quanti cittadini nei precedenti 12 mesi avessero utilizzato le “Medicine alternative e complementari” ( Cam): in Francia, Germania, Austria e Svizzera circa il 10% della popolazione sceglie queste terapie, mentre in tutti gli altri Paesi (tra cui quelli scandinavi, la Spagna e il Regno Unito) solo una minima parte dei cittadini ( tra il 3 e l’ 1%) opta per medicine alternative e complementari.
Significativo però è che tra le Cam la parte del leone la facciano le pratiche manipolative legate ai dolori della zona lombare e vertebrale: non stupisce, visto che solo in Italia ne soffre una persona su cinque. I trattamenti omeopatici sono relegati nelle ultime posizioni, ben dopo quelli a base di erbe, raggiungendo ad esempio nel Regno Unito solo l’1,3% della popolazione.
I dati del sistema sanitario nazionale inglese ( Nhs) dimostrano inoltre che, in Inghilterra, le prescrizioni omeopatiche continuano a calare, con una diminuzione dal 1995 al 2016 pari al 96% ( da 170.000 l’anno a circa 7000), e un ulteriore calo del 23% nel 2017 rispetto al 2015, quando erano circa 9000. Uno studio del 2017, condotto sulla popolazione di 11 paesi nel mondo, dimostra poi che nell’anno precedente la pubblicazione dello studio, solo il 3,9% delle persone aveva usato trattamenti omeopatici, e solo l’1,5% si era recato da medici omeopatici.Negli ultimi anni ci sono state alcune importanti valutazioni scientifiche, da parte di organismi nazionali e internazionali indipendenti, circa la efficacia dell’omeopatia. Tra queste vanno certamente ricordate quella dello European Academies’ Science Advisory Council (Easac del 2017), quella del National Health and Medical Research Council australiano ( nel 2015) e della House of Commons Science and Technology Committee britannica ( del 2010). Tutte concludono che l’omeopatia non soddisfa i criteri standard di efficacia e appropriatezza. E quando i pazienti ne sono soddisfatti ciò è dovuto a tre ben noti fenomeni fisiologici indipendenti dal contenuto delle pastiglie. Il primo è l’effetto placebo: il curante che prescrive un preparato, anche se fatto di sole palline di acqua e zucchero, stimola sul malato un effetto positivo che mette in circolo mediatori chimici (dopamina ed endocannabinoidi) con qualche beneficio. Il secondo consiste nel naturale tasso di remissione delle malattie, per cui è statisticamente noto il numero di persone che, pur non trattate, guarisce da diverse malattie.
Il terzo è dovuto al condizionamento fisiologico perché se un organismo è abituato a uno stimolo efficace è possibile sospenderlo: se si mantiene la prassi di somministrazione, si ottiene la stessa ( ma passeggera) risposta fisiologica. Il che spiega l’apparente efficacia dell’omeopatia nei bambini e negli animali. Così che l’Easac ha dichiarato: «Non vi sono prove rigorose a sostegno dell’uso dell’omeopatia in medicina veterinaria ed è particolarmente preoccupante quando viene utilizzata per trattare le infezioni del bestiame».
Queste prese di posizione di importanti istituzioni scientifiche giustificanoil fatto che nei paesi che hanno un sistema sanitario pubblico, che deve allocare secondo un principio di efficacia e giustizia le sempre più limitate risorse dei contribuenti, si sta valutando la sospensione del rimborso dei trattamenti omeopatici. Per esempio in Francia: mentre si attende il parere dell’autorità sanitaria nazionale che potrebbe portare a una revisione del rimborso – insieme a quello di altri farmaci – condizionandolo alla valutazione della loro efficacia, la facoltà di medicina di Lille ha sospeso i corsi di laurea in omeopatia. E mentre Austria e Belgio, con qualche marginale eccezione, non offrono il rimborso, l’Inghilterra ha dichiarato di voler sospendere l’erogazione di medicinali omeopatici a carico del Nhs. Così come lo Swiss Federal Health Office sta ora concludendo un’analisi settennale delle prove di inefficacia con l’intento di togliere gli omeopatici dall’elenco dei farmaci rimborsati.
In Italia le medicine complementari (compresa l’omeopatia) sono escluse dai livelli essenziali di assistenza ( Lea), ma alcune regioni le hanno inserite tra i servizi pubblici: prima tra tutte la Toscana che ha quattro strutture di riferimento, tra cui l’ambulatorio di Omeopatia di Lucca e il Centro di Medicina Integrata dell’Ospedale di Pitigliano. Inoltre, per tutti gli italiani è prevista una detrazione Irpef del 19% anche per una quota di prestazioni e medicine omeopatiche, che ammonta a circa 50 milioni di euro l’anno.
Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? All’orizzonte vi sono due spinte che possono agire in modo contrario. Da un lato c’è la battaglia culturale e politica che vuole illustrare l’inefficacia dell’omeopatia e vuole limitarne l’espansione. Dall’altra, invece, c’è una tendenza dell’opinione pubblica che si può riassumere nel motto “less is more”, “meno è meglio”: un numero significativo di cittadini ritiene che parte dell’attuale sviluppo della medicina sia incentrato su un eccesso di trattamenti farmacologici e terapeutici – dalla sovradiagnosi al sovratrattamento o ipermedicalizzazione, alla mercificazione della malattia – giudicati inutili o nocivi. Non è un approccio direttamente a favore dell’omeopatia, ma ne sposa il sospetto verso le odierne farmacoterapie.
Una delle due spinte avrà la meglio e sarebbe un vero peccato se le prossime generazioni, più istruite delle precedenti e quindi maggiormente sensibili alle sirene dell’omeopatia dovessero portare sulla propria pelle i segni di un dannoso ritorno al passato e all’irrazionalità.