la Repubblica, 25 settembre 2018
L’ultimo rito nel tempio del pesce di Tokyo
Alle 5 e 30 la campana suona, i respiri restano sospesi. Sotto le luci al neon dell’enorme capannone l’asta sta per iniziare. È un attimo: in piedi su una cassa il banditore sbraita le sue formule, i compratori con impercettibili gesti delle dita fanno le offerte. I profani non possono capire, ma in pochi secondi decine di tonni allineati sul pavimento sono assegnati. Uno sciame di carretti parte a distribuirli nei meandri del mercato, dove verranno fatti a tranci, venduti ai ristoratori e trasformati nel sushi più fresco che ci sia. In tempo per la colazione.
Da 83 anni, ogni mattina nel cuore di Tokyo va in scena questo rito. Tonni rossi, spada, polpi, molluschi, 480 varietà di pesce: tutto il mare commestibile si contratta a Tsukiji, l’ingrosso ittico più grande al mondo, 15 milioni di dollari di scambi al giorno. Ma cosa resta di un rito senza il suo tempio? Dal 6 ottobre i 42mila lavoratori che ogni notte animano il mercato lasceranno questo labirinto di cemento costruito nel 1935, troppo piccolo e caotico, poco igienico, tutto cadente, per trasferirsi 2 chilometri più in là. Il nuovissimo Toyosu, affacciato sul mare, è pronto ad accoglierli con le sue strutture asettiche, in tutti i sensi, all’altezza degli standard richiesti della grande distribuzione. Ma che secondo molti si porteranno via pure la magia.
Per i turisti di sicuro, i temerari che si mettevano in fila alle 3 del mattino per conquistare uno dei 150 posti alle aste del mattino. A breve le si potrà seguire solo dietro un vetro, una balconata per il pubblico, lontano da odori e suoni. E senza assaggio finale, visto che la cintura di ristoranti che circondava Tsukiji non seguirà il mercato, separando produttori e consumatori. Ma è soprattutto per i lavoratori che un’epoca sta per finire. La struttura ad arco del vecchio mercato rifletteva il complesso sistema di aste e intermediari creato negli anni ‘30 dal Giappone per evitare speculazioni sul pesce, la sua materia prima più preziosa. Oggi i supermercati lo aggirano, comprando direttamente dai pescatori. Il numero dei naka-oroshi, gli intermediari che separano buono e meno buono, l’anima di Tsukiji, si è dimezzato da mille a 500. Sempre più vecchi, a fare un mestiere da nottambuli, intirizziti dal ghiaccio delle cassette o soffocati dall’estate torrida di Tokyo, tastando la carne alla ricerca del trancio migliore da piazzare a un ristorante di lusso, come il mitico tonno pinna blu venduto per oltre 600mila dollari. Per molti di loro, specie i più piccoli, dentro una macchina industriale come Toyosu potrebbe non esserci più mercato.
Per questo l’ennesimo rinvio, l’anno scorso, era stato accolto con sollievo. Sul sito della nuova struttura, una ex centrale a carbone, gli ispettori ambientali avevano trovato livelli di mercurio e altri inquinanti ben oltre i livelli di guardia. Tutto risolto, assicura adesso il governatore di Tokyo, senza troppo convincere gli addetti ai lavori. Ma le Olimpiadi del 2020 sono vicine, Tsukiji va demolita per fare spazio a un parcheggio, sperando che i topi che ne infestano i sotterranei, rimasti senza cena, non scappino verso i vicini quartieri dello shopping.Dopo 83 anni, è davvero tempo di traslocare. I compratori con i loro arpioni per saggiare la carne, gli intermediari con i banchetti di legno sommersi di fogli, i pescivendoli con i coltellacci da un metro e taglieri pieni di tacche. Tutti si porteranno dietro un pezzetto del loro tempio.