Il Messaggero, 25 settembre 2018
Antonello Venditti: «Amo i concerti imperfetti, la tv li ha uccisi»
Antonello è ancora carico a pallettoni dopo il concerto. Le parole sono un fiume, scaricano l’adrenalina, la stessa che aveva sul palco dove, incurante di regole e scalette, ha dilagato per raccontare le sue canzoni, naturalmente a cominciare da quelle di Sotto il segno dei pesci, di cui all’Arena ha festeggiato il quarantennale cantando, per la prima volta, tutto l’album di fila, secondo la successione di titoli dell’antico 33 giri. «La televisione uccide i concerti» sentenzia, fregandosene che, poi, la sua festa sia stata registrata per essere mandata in onda (la rete è da stabilire). Francesco De Gregori, l’amico ritrovato e invitato, lo ha pure preso un po’ in giro con fare sornione: «Io nei concerti non parlo mai». Venditti sì, che parla. E rivendica la sua libertà: «I concerti migliori – sentenzia – sono quelli imperfetti».
Sicuro Antonello?
«Si, perché così viene fuori la verità».
Però sul palco, quando è saltato il gobbo coi testi, lei è apparso infuriato.
«Ho parlato di sfiga. E quando succede non resta che cavalcarla, per far venire fuori le emozioni vere. Musicalmente, invece, è andato tutto benissimo, siamo riusciti a mettere insieme il suono di oggi con quello degli Anni ’70, anche se non avevamo provato quasi nulla. E, quando in musica trovi il suono, il lavoro è pressoché fatto».
Con De Gregori vi siete finalmente ritrovati.
«Francesco è stato fantastico. Fra noi non è mai successo nulla. Lui ha un suo linguaggio, io un altro, ma questo non ci impedisce di essere amici, quasi fratelli. Forse siamo troppo amici per poter lavorare assieme, ma non siamo diversi da allora. Forse, eravamo più inconsapevoli e meno felici».
Eppure in passato ci sono stati momenti di frizione, con battute aspre tra di voi.
«Ma questa è retorica giornalistica, c’è sempre bisogno di creare contrapposizioni: Bartali e Coppi, oppure i Beatles e i Rolling Stones. Erano diversi, ma si stimavano e si amavano».
Sul palco c’era anche un nuovo amico, Ermal Meta.
«Riconosco in lui qualcosa che avevo e che ho ancora: abbiamo stigmate identiche. È un’amicizia che forse porterà ad altro».
Che effetto fa tornare indietro e buttarsi dentro a un disco dai toni così forti dopo quarant’anni?
«Quel disco è un mito, ha segnato la mia svolta musicale; è il mio album più importante. Uscì l’8 marzo 1978, pochi giorni prima del rapimento Moro, che avvenne il 16. Avrei potuto festeggiare anche i 30 anni di Questo mondo di ladri che è stato un altro lavoro che ha segnato la mia storia, ma è una fotografia, non ha il mistero e la magia di Sotto il segno dei pesci, che è stato capace di anticipare tante cose».
Il terrorismo, per esempio, che quell’anno raggiunse il suo apice, proprio con il rapimento di Moro?
«Bomba o non bomba, che stavolta ho cantato con Francesco, non anticipava solo il terrorismo. Oltre a prefigurare la stagione degli attentati, conteneva perfino un vaticinio di Renzi quando dice: «A Firenze dormimmo e un intellettuale, la faccia giusta e tutto quanto il resto, ci disse: No, compagni, amici, io disapprovo il passo, manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto».
Ci sono poi storie forti di donne.
«Ho scritto tante canzoni con nomi di donne. In Sotto il segno dei pesci ci sono Sara, prima canzone di urlo sulla condizione della donna, c’è Lilly sulla droga che sterminò una generazione. Ma dietro tutte quelle figure femminili, c’era un ragazzo grasso che scriveva. C’era un tempo in cui nella mia generazione si viveva il complesso dell’essere grasso e del non avere capelli. Ti chiamavano Cicciabomba e non puoi dimenticarti quel 25 agosto in cui, finalmente, hai fatto l’amore con una più grassa di te. Oggi nessuno ti prende per il culo perché non hai i capelli, anzi. Lucio Dalla, ricordo, si è messo il parrucchino per questo problema».
Nel disco, a parte Renzi, si respira molto la politica, un territorio al quale lei è stato sempre molto interessato, esponendosi in prima persona.
«Mi hanno sempre detto che sono un comunista. Per me il comunismo è portare le persone che stanno peggio a stare meglio. Per me non si deve chiamare comunismo, ma semplicemente logica. Una volta avevo fiducia nella politica, oggi sono più distaccato: vedo solo eserciti che si contrappongono».
Il 21 e 22 dicembre la festa di Sotto il segno dei pesci, che è stato ripubblicato con l’inserimento di un inedito che si chiama, guarda caso, Sfiga, e altri contenuti, si trasferisce a Roma, al Palalottomatica. E poi Antonello Venditti che fa?
«Faccio un disco nuovo. Sono fatto così, non penso a quello che ho fatto, ma a quello che farò, anche se il mio passato mi piace. Al disco ci lavoro da tempo, ho anche registrato già delle cose, ma uscirà a fine 2019. Nel frattempo devo trovare il suono giusto».
Già, il 2019: è l’anno in cui Antonello, che resta implacabilmente fedele alla sua immagine di sempre – capelli lunghi, rayban, cappello e jeans – compirà 70 anni. Il giorno è l’8 marzo, la festa delle donne. Per ora è meglio far finta di nulla, perché quel giorno si diventa davvero grandi.