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 2018  settembre 25 Martedì calendario

Versace è americana: colpo al Made in Italy

Made in Italy sempre meno italiano. Un altro grande nome della moda del nostro Paese, Versace, è passato in mani straniere. Per la precisione in quelle della griffe americana Michael Kors, che ne ha ieri ufficializzato l’acquisto. Quest’ultima si considera e definisce un marchio di lusso globale e lo scorso anno aveva già acquisito il brand di scarpe di culto Jimmy Choo per 1,2 miliardi di dollari. Nel caso di Versace, invece, si parlerebbe di 2 miliardi. Del resto, John D. Idol, amministratore delegato di Kors, aveva dichiarato chiaro e tondo poco tempo fa: «Visto il rafforzamento del dollaro, l’acquisto di attività internazionali o l’esame di potenziali acquisizioni di marchi al di fuori degli Stati Uniti è ovviamente diventato molto attraente per noi». E, del resto, l’immaginario Versace ben si sposa a quello americano, anche se stilisticamente dissimile da quello di Michael Kors. Dalla famiglia Versace, però, c’era evidentemente la volontà di vendere a un terzo, al di là delle favorevoli o meno oscillazioni del dollaro. Già da tempo, infatti, si parlava di un certo interesse per la casa della medusa da parte dei giganti francesi del lusso LVMH e Kering, oltre che degli americani PVH Corp., Tapestry e, appunto, Michael Kors.
LA STORIA
La Gianni Versace era stata fondata negli anni Settanta da Gianni, ucciso nel 1997 a Miami. Per stessa volontà dello stilista, il 50% dell’azienda era stato ereditato dalla nipote Allegra Versace Beck, all’epoca minorenne, mentre il 30% era andato al fratello Santo e il 20% alla sorella Donatella, attuale direttore creativo del marchio. Dopo anni altalenanti e anche difficili economicamente parlando, nel 2014 il 20% della società era stato acquisito dal fondo Blackstone, che, ora, alla luce dei nuovi accordi, esce dalla Versace. La famiglia, invece, manterrà una partecipazione di minoranza. Nella sede milanese, tra i dipendenti, c’è parecchia sorpresa, ma poca preoccupazione, oltre che la volontà di continuare a lavorare seriamente e con passione. Intanto, le aziende che mantengono un dna totalmente italiano sono sempre meno: Armani, Prada, Tod’s, Dolce&Gabbana, Ermanno Scervino, Moncler e Brunello Cucinelli. Griffe solide, dalle radici profonde, ma il cui esiguo numero fa un po’ rimpiangere i bei tempi andati, quando la moda parlava davvero italiano e il made in Italy non era solo un’etichetta, ma qualcosa che si poteva davvero toccare con mano. 
Tanto che sulla questione si è espresso anche il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini: «Sono liberista, ma sono stufo che i migliori marchi della moda, dell’alimentazione, della tecnologia italiana vengano comprati all’estero», ha commentato a Quarta Repubblica, su Retequattro, «Lavoro per un Paese che faccia il contrario e vada all’estero a riportare in Italia le nostre eccellenze».
Persino su Ferragamo si sono alzati, ultimamente, molti rumor: anche se la famiglia proprietaria smentisce categoricamente, la casa di moda sembrerebbe far molta gola a LVMH di Bernauld Arnault. Quest’ultimo ha già fatto numerose spese negli anni passati nel nostro Paese. Sono, infatti, marchi della sua scuderia: Fendi, Bulgari, Pucci e Acqua di Parma. Il suo antagonista principale nella divisione del lusso mondiale, ovvero Kering di Francois-Henri Pinault, ha in mano Gucci, che sta avendo sempre più successo e che, proprio ieri, ha sfilato a Parigi invece che a Milano, ma anche Bottega Veneta, Brioni e Pomellato. La maison d’origine romana Valentino da anni è del fondo del Qatar Mayhoola. Il brand di lingerie d’alta gamma La Perla è ora di proprietà degli olandesi di Sapinda e Krizia è stata comprata dai cinesi di Marisfrolg. Una lista lunga e che sembra non fermarsi. C’è da dire, con gioia e pur con un certo orgoglio, però, che per tutte queste firme il saper fare, le artigianalità e la creatività, in generale, rimangono saldamente in mano italiana, tant’è che anche grandi marchi di moda francese hanno scelto come direttori creativi alcuni connazionali. A questo punto viene da chiedersi perché in Italia si è così bravi con l’ideazione ed evidentemente poco capaci dal punto di vista organizzativo e del cosiddetto fare sistema. Da anni, infatti, si ripete fino allo sfinimento quanto le nostre griffe non riescano ad allearsi per salvaguardare un mondo che ogni giorno perde qualche pezzo. Il fatto stesso che la settimana della moda di Milano sia stata ridimensionata nella sua durata a favore di quella parigina in corso, grazie alla lungimiranza e scaltrezza di alcune case di moda francesi, dimostra quanto il drappello tricolore sia, purtroppo, indebolito.