Corriere della Sera, 25 settembre 2018
La diga della Ragioneria di Stato
Ciò che colpisce molti osservatori è la continuità nel deterioramento. Il conflitto istituzionale che sta deflagrando oggi attorno alla Legge di bilancio rappresenta un passo in più, fino quasi al limite, lungo una direzione tutt’altro che nuova: il Movimento 5 Stelle non è il primo a contestare le istituzioni tecniche del Paese quando la realtà che esse descrivono è sgradita al potere politico. Quando il vicepremier Luigi Di Maio dice che non si fida del ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, si sta addentrando in un terreno finora inesplorato; eppure la disinvoltura nell’attaccare un alto funzionario indipendente appare la prosecuzione – spinta all’estremo – di quanto avvenuto anche prima che M5S e Lega arrivassero al governo.
Ai tempi dei governi di Silvio Berlusconi le pressioni sulla Ragioneria erano eventi quasi normali, anche se mai pubblici. Quindi Matteo Renzi da premier andò allo scontro con i tecnici quasi subito, nel maggio del 2014, quando il servizio di bilancio del Senato espresse dubbi su certe coperture del suo bonus da 80 euro: «Valutazioni tecnicamente false», accusò in pubblico il premier di allora. Pochi mesi prima erano già circolate con insistenza le voci sui suoi piani di togliere la Ragioneria al ministero dell’Economia per incardinarla a Palazzo Chigi, vicino a sé.
L’operazione allora non riuscì. Eppure il passato recente rende chiaro che i 5 Stelle oggi stanno solo muovendo alcuni passi, numerosi, lungo la rotta populista che da tempo minaccia le istituzioni indipendenti a tutela dei conti pubblici. Anche per questo, dentro e attorno alla Ragioneria per ora non cambierà niente. A quanto risulta Daniele Franco, il direttore del dipartimento, non risponderà a Di Maio ma si guarda bene dal dimettersi a causa delle sue critiche; non è un caso che ieri sia stato ricevuto dal premier Giuseppe Conte. Nel ministero dell’Economia si ritiene che la figura del ragioniere dello Stato derivi le sue funzioni e poteri direttamente dalla Costituzione – obbligo di copertura delle misure, vincolo del pareggio di bilancio – dunque il ragioniere stesso risponde direttamente al presidente della Repubblica. Daniele Franco non fissa gli obiettivi di deficit, ma ha poteri evidenti di farli rispettare una volta che il governo e il Parlamento li abbiano indicati.
Il Ragioniere tiene duro, ma questo non esclude che ci siano conseguenze: Franco è in scadenza a maggio 2019 e oggi è tutt’altro che chiaro che possa essere riconfermato se l’attuale governo sarà ancora in carica a quel punto. Si sta diffondendo dunque fra gli investitori una percezione di potenziale fragilità istituzionale negli assetti della finanza pubblica, che può pesare già in ottobre quando agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poor’s dovranno esprimersi sull’Italia.
In parte lo si vede già sul mercato. Non tanto sui titoli pubblici, il cui rendimento ieri è salito molto per gli attacchi al ragioniere dello Stato pur restando ben sotto ai livelli di un mese fa. Più ancora la percezione del potenziale indebolimento delle istituzioni indipendenti in Italia lo si nota nei prezzi dei Cds, i contratti derivati che assicurano i detentori contro il default dei titoli pubblici. Come nelle assicurazioni sull’auto o sulla casa, il costo della polizza sale quando aumenta al rischio stimato che un incidente accada sul serio. E oggi quel costo sui Cds è tornato ai massimi del 29 maggio scorso, il giorno del peggiore crash di sempre dei titoli di Stato di Roma; il dettaglio più emblematico è che costa sempre di più in particolare il cds che permette il rimborso dei titoli in euro anche nel caso in cui l’Italia fallisca e torni alla lira. Dopo lo spettacolo al quale i suoi creditori hanno assistito in questi giorni, non certo un attestato di credibilità per il Paese.