Corriere della Sera, 25 settembre 2018
L’Europa non è poi così divisa
Le elezioni europee del prossimo marzo potrebbero segnare, se non la fine del progetto di comunità europea, una significativa retromarcia. Perché? Quali sono le ragioni per cui molti cittadini non vogliono avere una «Europa unita»?
Al di là di fattori contingenti, ci possono essere varie spiegazioni di fondo. La prima e più naturale è che gli europei siano troppo diversi fra loro per convivere in una federazione politica comune. In un lavoro di ricerca recentemente pubblicato su Brookings Papers on Economic Activity con Guido Tabellini e Francesco Trebbi ci siamo chiesti proprio questo. Abbiamo usato dati per 16 Paesi dell’Europa occidentale, compresa la Gran Bretagna, e considerato vari sondaggi di opinione per misurare le differenze culturali nel Continente.
Gli argomenti spaziavano da opinioni religiose (per esempio l’eutanasia) a moralità sessuale (come omosessualità o aborto), da uguaglianza di genere nel mondo del lavoro e in casa, al ruolo dello Stato (come redistribuzione, privatizzazioni, mercato e Stato) e al capitale sociale (per esempio fiducia negli altri, partecipazione in attività sociali). Ovviamente siamo stati limitati dai sondaggi disponibili, ma le risposte utilizzate indicano per grandi linee le basi culturali necessarie alla convivenza di cittadini di una nazione o federazione, per poter trarre vantaggio dai benefici che la federazione stessa comporta.
Nel caso dell’Europa, sono un libero mercato che facilita il commercio e la crescita, evitare concorrenza dannosa tra Paesi (competizione fiscale), il coordinamento di infrastrutture e risparmi di «scala», il facilitare il movimento di persone, idee ricerca e progetti, e una rilevanza ai tavoli della geopolitica mondiale, tutti vantaggi non da poco.
Abbiamo trovato risultati sorprendenti. Primo, la probabilità che due italiani (o spagnoli o francesi, e questo vale per ogni Paese studiato) la pensino più o meno allo stesso modo su questi temi fondamentali è pressoché uguale alla probabilità che due europei (occidentali) la pensino allo stesso modo. In altre parole, la dispersione di vedute all’interno di ogni Paese tra cittadini non è più ampia della dispersione all’interno dell’Europa occidentale nel suo complesso. Secondo, gli europei sono più simili fra loro di quanto non lo siano gli americani, che pure convivono in un’unione federale. Terzo, le differenze di vedute fra gli europei negli ultimi trent’anni non sono aumentate più di quanto siano aumentate quelle tra gli americani. E, in entrambi i casi, queste differenze sono aumentate molto poco. Il che è interessante: la maggiore polarizzazione di partiti politici in Europa e Stati Uniti di cui molti politologi parlano non sembra trovare riscontro in un aumento simile nelle differenze di vedute tra i cittadini, almeno in termini di queste basi fondamentali da noi studiate. Abbiamo anche verificato che invece gli europei sono molto diversi da cittadini di Paesi non europei, come la Turchia che non fa parte dell’unione, che almeno a giudicare da questi dati parrebbe molto più distante dall’Ue.
Quindi, se i Paesi europei e gli Usa rimangono unità politiche stabili, da questo punto di vista lo potrebbe rimanere anche una federazione europea. Certo, in Europa ci sono opinioni molto diverse, per esempio su deficit, politica monetaria, pensioni, debito, eccetera, ma questo è vero anche negli Stati Uniti. Provate a leggere un articolo di economia sul New York Times o sul Wall Street Journal per rendervene conto. Da dove derivano allora le spinte centrifughe in Europa? Innanzi tutto, la nostra ricerca considera solo l’Europa occidentale. È assai probabile che le differenze siano maggiori proprio tra cittadini dell’Ovest e quelli del Centro-Est, e che quindi un problema sia che l’Europa dei 15 si sia estesa troppo in fretta in quella direzione.
Inoltre, ci possono essere differenze di vedute tra Paesi riguardo a come dividersi i benefici della «torta europea». Ma questi conflitti d’interesse ci sono anche fra stati americani o regioni italiane o Länder tedeschi. Lì in qualche modo vengono risolti senza spaccare la nazione. Per questo, sarebbe un passo avanti se le questioni europee venissero gestite da organismi politici i cui membri non si sentano rappresentanti del loro Paese, ma membri di una unione che va al di là dei singoli Paesi e difende interessi comuni.
Ovviamente le nazioni Ue hanno una storia centenaria di «costruzione nazionale» che ha creato culture e lingue comuni e un senso di appartenenza che ancora manca all’Europa. «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani» diceva Massimo d’Azeglio nel 1861 Quindi anche per l’Europa potrebbe essere solo un problema di tempo. Cominciamo a insegnare «più Europa» a scuola.
Ai miei tempi al liceo si studiava la letteratura italiana in un vuoto pneumatico. Siamo cresciuti pensando che Alessandro Manzoni fosse il più grande romanziere di tutti i tempi, mentre Tolstoj, Flaubert, Hardy, Mann, Musil o Cervantes non erano neanche menzionati come fossero figure minori rispetto al nostro Manzoni. Espandiamo programmi come l’Erasmus, che «mischia» studenti di diverse nazionalità. Potenziamo l’apprendimento di una lingua comune, che non potrà che essere l’inglese, anche se la Gran Bretagna se ne è andata, purtroppo.
C’è poi un nazionalismo «di pancia». Quando gioca la nazionale di calcio siamo tutti fratelli per 90 minuti contro l’odiato nemico calcistico, cosa tra l’altro non vera in Spagna dove molti a Barcellona tifano contro la nazionale spagnola. Lasciamo il nazionalismo ai campi di calcio. La storia è piena di guerre derivanti da spirito di superiorità nazionale gonfiato da fazioni politiche con interessi di parte. La spinta iniziale dei primi passi dell’Unione Europea fu proprio il ricordo degli orrori della prima metà del secolo scorso con due guerre mondiali create dai nazionalismi europei.
Ci può essere malcontento per questo o quel particolare governo europeo, ma i governi si cambiano senza smembrare una nazione. Si possono anche cambiare le regole di governo. Ma chi non è d’accordo, per esempio, con l’attuale governo in Italia o non era d’accordo con la riforma costituzionale di Matteo Renzi non propone di smantellare la nazione italiana. Lo stesso dovrebbe valere per il governo europeo.