la Repubblica, 24 settembre 2018
Intervista a Luigi Lo Cascio al suo primo romanzo
Per suo piacere, quasi ogni giorno, per circa un annetto, ha scritto resoconti di giornata, pensieri, riflessioni su letture e fatti, ognuno concepito come inizio di un possibile romanzo. «Poco a poco quei tanti cominciamenti narrativi -racconta – hanno trovato un legame in un personaggio, uno scrittore, un io esagerato, che si chiede i motivi di questa incapacità a proseguire una storia oltre la prima frase e in generale a portare a termine le cose della sua vita». È così che Luigi Lo Cascio, 51 anni, splendido attore, ha fatto il suo esordio nella narrativa. Il romanzo si intitola Ogni ricordo un fiore. «Ho finito di correggere le bozze qualche settimana fa e ora mi sento come in una specie di vuoto», confessa a pochi giorni dall’uscita da Feltrinelli e dalla “ripresa” autunnale, già carica di impegni: a teatro con la nuova tournée di Delitto/ Castigo insieme a Sergio Rubini, con cui poi debutterà a marzo in Dracula di Bram Stoker, e al cinema col film Il mangiatore di pietre di Nicola Bellucci dal giallo di Davide Longo. Ogni ricordo un fiore, preceduto da prove di scrittura non narrativa – riletture da Otello, Le Baccanti e La tana di Kafka, la sceneggiatura del suo film, La città ideale – è un romanzo di frammenti, composto da 240 e oltre “incipit” di possibili romanzi, intrecciati alle vicende del personaggio che li ha scritti, Paride Bruno. Solitario, ironico, disincantato, Paride viaggia da Palermo a Roma, di ritorno dal funerale del padre di un amico. E in treno rilegge il faldone dei suoi “inizi” narrativi, deciso a disfarsene se non troverà, per almeno uno di essi, una continuazione, per dare un senso alla propria vita contenuta in ognuno di quei frammenti.
Anche lei ha scritto 240 incipit di altrettanti possibili romanzi?
«No, però è vero che anch’io ho la mia collezione di cominciamenti.
Solo che per me sono stati un problema letterario, per Paride invece sono il segno infruttuoso della sua vita, del perché da trent’anni non riesce a portar avanti nulla, nella scrittura, nell’amore, nelle amicizie. A un certo punto confessa di avere una patologia, l’Incompiutezza cronica multifattoriale, Icm, che lo porta a iniziare e subito abbandonare».
Leggendo si ha la sensazione che dietro a Paride, sotto voce, si insinui lei. O no?
«Un personaggio, dice Bufalino in
Diceria dell’untore è sempre la controfigura dello scrittore. Sì, ci sono aspetti miei, passioni, letture.
Il suo viaggio sono i viaggi che ho fatto io quando da Palermo andavo a Roma per l’Accademia. Non c’erano ancora i low cost, si prendeva la cuccetta o i treni che ci mettevano 13 ore. Il ricordo di quella esperienza, di un tempo lungo in cui puoi ripensare alla tua vita, è riemerso».
Lei che lettore è?
«Tardivo. Inizialmente ero iscritto a medicina leggevo solo cose di scienza. La narrativa è arrivata con le letture ad alta voce in accademia, legata all’apprendistato del mestiere d’attore».
Modelli letterari?
«Meglio parlare di scrittori che ho letto più di altri: Bufalino, Consolo, Sciascia, Ripellino… Ma in cima Pirandello. Per noi siciliani non è solo il grande autore, è la nostra forma mentis, quello che ha detto nella maniera più creativa come siamo, parlando della vita come teatro, maschera, segreto».
Paride pare un personaggio pirandelliano.
«È solo la morte che dà l’idea di un destino, che mette in fila gli accadimenti... la vita è dispersiva, frammentaria, e il suo senso invisibile, segreto. Paride lo accetterà, sapendo che in ogni frammento c’è l’ansia struggente di arrivare a un compimento della vita».