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 2018  settembre 24 Lunedì calendario

Che fine ha fatto Larry Page?

Vent’anni dopo la sua nascita e tre anni dopo la riorganizzazione aziendale che ha creato la sua holding Alphabet, Google sta vivendo un momento molto difficile. Ma il suo «vero» fondatore, nonché attuale amministratore delegato (ceo) Larry Page non è in prima fila a difendere la sua creatura. Anzi, è scomparso dalla scena pubblica e, secondo un’inchiesta della rivista finanziaria Bloomberg, è quasi assente anche in azienda. 
È un vuoto di leadership che pesa proprio mentre Google è nel mirino delle autorità, sia in Europa sia in America, per il suo dominio nel campo dei motori di ricerca e nella pubblicità digitale e per il suo uso dei dati degli utenti ai fini del business, mentre i suoi concorrenti incalzano. 
Lo scorso marzo Amazon ha sorpassato Alphabet diventando la seconda più grande società al mondo per valore in Borsa e a fine maggio anche Microsoft l’ha battuta, così la holding di Google è scivolata quest’anno dal secondo al quarto posto, con 828 miliardi di dollari di capitalizzazione contro i 950 della società di Jeff Bezos e gli 870 di Microsoft guidata da Satya Nadella. Entrambe Amazon e Microsoft competono con Alphabet nel cloud computing (servizi «nella nuvola») e nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale (Ai); Bezos sta anche invadendo il campo della pubblicità digitale.
I rapporti con la politicaE il ceo di Alphabet che cosa fa? Divide il suo tempo fra l’isola dei Carabi che possiede e la cura di progetti «lunari» (moonshot) che probabilmente non si concretizzeranno mai in prodotti commerciabili. È insomma, a soli 45 anni e con un patrimonio personale di 53,5 miliardi di dollari, in una specie di «pensionamento». 
Il che poteva funzionare fino a quando Eric Schmidt, ceo di Google per dieci anni dal 2001 alla fine del 2010 e poi presidente esecutivo, era stato la faccia pubblica della società di Mountain View, capace di dialogare con il governo e i legislatori di Washington. 
Ma alla fine dell’anno scorso Schmidt si è improvvisamente e misteriosamente dimesso e al suo posto nessuno ora possiede le stesse qualità diplomatiche ed entrature politiche. 
Quanto siano tesi i rapporti fra Alphabet e il Parlamento Usa lo si è visto lo scorso 5 settembre quando Larry Page era atteso – insieme ai leader di Twitter e Facebook – a un’udienza davanti alla commissione senatoriale sull’Intelligence. Jack Dorsey e Sheryl Sanders si sono presentati per discutere l’uso distorto dei loro social media da parte degli agenti russi e di altri Paesi impegnati a influenzare la politica americana e hanno promesso di vigilare per impedire in futuro queste interferenze. 
VisioniPage non solo non si è presentato, ma non ha mandato al proprio posto nemmeno il numero due della sua holding, il ceo di Google Sundar Pichai, offrendo invece il capo dei global affairs, che è stato respinto dalla commissione. Così la sedia con il cartellino «Google» è rimasta vuota attirandosi, durante l’udienza, l’ira e lo sdegno di numerosi senatori.
Dietro il rifiuto di Page di parlare in pubblico – testimoniato dal fatto che dal 2013 non presenta prodotti e non parla agli analisti sui risultati trimestrali e dal 2015 non parla ai giornalisti – c’è anche un motivo medico. Cinque anni fa gli è stata diagnosticata la paralisi delle corde vocali e da allora riesce con grande fatica a far sentire a sua voce, roca e flebile.
Più in generale c’è dietro un carattere molto schivo e la voglia di Page di occuparsi solo dei progetti futuribili che lo appassionano. «Chief visionary», il capo visionario, lo chiamano gli ammiratori.
Fanatico di tecnologia e computer da quando aveva sei anni e sicuro che avrebbe inventato grandi cose e creato un’azienda da quando ne aveva 12, Page aveva elaborato l’algoritmo di Google per la sua tesi di dottorato in Informatica alla Università di Stanford. Tre anni dopo la fondazione della sua società insieme a Sergey Brin, aveva volentieri lasciato la sua guida al più esperto ed adulto Schmidt e quando, nel 2011, è tornato a fare il ceo, non è durata molto la sua pazienza nella gestione aziendale quotidiana. Per questo nell’ottobre 2014 ha annunciato la ristrutturazione e trasformazione di Google in Alphabet, holding che controlla la «vecchia» Google e una serie di «altre scommesse» come Waymo (automobili a guida autonoma), Verily (biotech e ricerca sulla longevità), DeepMind (intelligenza artificiale), Access (reti di fibre ottiche per collegamenti ultraveloci a Internet) e X (laboratorio segreto).
Il motore dei profittiAlphabet è nata nel 2015 ed «è stata creata – sottolinea un suo recente comunicato – esattamente per permettere a Larry di focalizzarsi sulle altre scommesse e sui problemi tecnologici di lungo termine».
Google però continua ad essere la macchina macina soldi del gruppo: nel secondo trimestre 2016 il fatturato pubblicitario del suo motore di ricerca (28 miliardi di dollari) ha rappresentato l’86 per cento del fatturato di tutta Alphabet (32,7) e il grosso dei 3,2 miliardi di profitti netti, elevati nonostante la multa da 5 miliardi di dollari imposta dall’Antitrust dell’Unione europea. 
Le «altre scommesse» invece hanno fatturato solo 145 milioni con 732 milioni di perdite.
Ma sul futuro di Google pesa l’incognita di possibili nuove regole in difesa della privacy degli utenti e per controllare l’uso dell’enorme mole di dati raccolti su chi usa il suo motore di ricerca e le sue app. 
Il silenzio di Page non aiuta la sua creatura a superare le attuali sfide esistenziali.