Il Sole 24 Ore, 24 settembre 2018
Le Province rinate tornano al voto
Se un ricercatore straniero fosse a caccia di un case history sull’Italia delle grandi incompiute gli converrebbe soffermarsi sulle Province. Che hanno rappresentato il bersaglio di tutti gli ultimi governi e che, numeri alla mano, sono ancora vive e vegete. Al punto che da qui a gennaio 2019 eleggeranno 47 presidenti e 70 consigli provinciali sui 76 ubicati nelle Regioni a statuto ordinario. Per un totale di 850 poltrone da assegnare con un voto di “secondo livello”. Che non riguarderà cioè i cittadini, ma i sindaci e i consiglieri comunali di zona. E in vista della prima scadenza elettorale, che il milleproroghe ha fissato al 31 ottobre, non mancano i problemi.
Il caos istituzionale
La macchina delle elezioni è partita venerdì scorso con la convocazione dei comizi. Entro dopodomani andranno certificati gli aventi diritto al voto. E qui cominciano le prime “grane”. In teoria, sono candidabili tutti i sindaci e i consiglieri comunali interessati. In pratica, potrà essere coinvolto solo il 38% dei primi cittadini. L’altro 62% non ha i 12 mesi di mandato ancora da svolgere previsti dalla riforma Delrio del 2014 (erano 18 in origine). A quella legge – la 56/2014 voluta dall’allora sottosegretario alla presidenza del Governo Renzi, Graziano Delrio – si deve anche la scelta di prevede una durata diversa per i consigli (2 anni) e i presidenti (4 anni). Risultato: l’election day del 31 ottobre consentirà di riempire tutte le caselle solo a 13 enti sui 47 coinvolti. Gli altri lo faranno a metà o in due tempi come illustra il grafico accanto. Senza contare che nei 29 restanti (per arrivare alle 76 Province delle Regioni a statuto ordinario) si voterà nell’arco dei prossimi 4 anni.
Le possibili vie d’uscita
Che la legge Delrio necessiti di un tagliando è evidente. Anche per il “peccato originale” che l’ha accompagnata. Trasformarle in un’assemblea di sindaci senza gettone era solo il primo tempo del film “Province 2.0”. Ma il secondo non è mai stato proiettato visto che la riforma costituzionale che le sopprimeva è stata respinta con il referendum del 4 dicembre 2016.
Da allora gli enti di area vasta vivono in un “limbo” che il presidente dell’Upi, Attilio Variati, chiede di abbandonare. Guardando avanti: «Non vogliamo tornare alla Provincia di ieri – dice – ma diventare un ente intermedio che assorba le decine e decine di enti intermedi esplosi nel frattempo come le autorità di bacino per l’acqua, l’energia e i rifiuti oppure gli enti di governo provinciale del trasporto pubblico locale». Istanze presentate nei giorni scorsi al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti. Che per ora si è limitato ad ascoltare.
In legge di bilancio è difficile che la maggioranza aggiunga un’altra spina alla rosa delle proposte su cui Lega e M5S si dividono. E forse non è un caso che il contratto di governo non dedichi neanche una riga alla vicenda Province.