il Fatto Quotidiano, 24 settembre 2018
Ritratto di Chiara Ferragni
Come quelli un po’ cialtroni dell’Olimpo, anche gli dei del web hanno tutte le nostre vite in mano, ci giocano e si annoiano. Annoiandosi, architettano misteri. Così accade che una giovane donna, Chiara Ferragni, 31 anni, bianca di pelle, bionda di cuore, nativa del grande schermo d’Occidente, fotografata, selfizzata, instangrammata, snapchattata, laikizzata e infine condivisa più o meno 100 milioni di volte a settimana da 10, 20, 30 milioni di bimbe sole, ragazzini soli, ammiratori, ammiratrici, odiatori & seguaci, navigatori compulsivi di eterna e depressa adolescenza, tutti di razza umana, tutti viventi nel medesimo schermo dei desideri in offerta speciale, sia in definitiva e resti fino a oggi – nonostante il cospicuo guardaroba di sorrisi tristi e camicette allegre – quasi del tutto inspiegabile.
Un enigma. Intendendo enigma per noumeno, realtà inconoscibile, però pensabile, come lo zero, come l’infinito. Che a moltiplicarli insieme, sempre zero danno, cioè un vicolo cieco dove si resta intrappolati. E questo a dispetto del bimbo Leone che ha appena scodellato nella nursery social; del matrimonio a Noto che ha appena celebrato, “il matrimonio dell’anno!”; del fatturato in milioni di euro che ha appena incassato. E dei paesaggi veri o verosimili con cui da dieci anni arreda la sua vita in pubblico, dentro la quale ha appeso solo merci sponsorizzate, cominciando dalla sua prima borsa “la mia Speedy Bag di Louis Vuitton, indimenticabile!”. E compreso il suo compagno di bimbo, di matrimonio e di fatturato: Federico Fernando Lucia, in arte Fedez, 28 anni, rapper di buona fattura e sorprendenti parole in rima, non per nulla fabbricato alla periferia della canzone italiana con melodia crescente e rabbia fatalmente in declino, visto che nacque proletario, respirando l’asfalto di Buccinasco e ora nuota nel superattico e nella bambagia neo yuppy di City Light, Milano centro, come è giusto che sia, proprio secondo le regole di ascesa sociale che faceva finta di odiare. E vergognandosene almeno un po’ si va progressivamente cancellando dentro al nero dei tatuaggi, sperando di farla franca, anche a dispetto delle regole di insurrezione anarchica che faceva finta di amare.
Chiara e Fedez – eroi di un vertiginoso successo sul palcoscenico degli sguardi, dei desideri, dei punti esclamativi – sono una coppia specchiante. Una coppia a quattro zampe, direbbero gli psicoanalisti. Respirano nella stessa inquadratura virtuale di ieri, di oggi e forse persino di domani. Ma restano distinti come il giorno e la notte. Lui è dritto per dritto. È così come lo vedi, il bello e tenebroso dell’ultimo banco. La dannazione dei presidi e il sogno erotico delle supplenti. Il gansta rapper che pattina sul proprio specchio: “Mangio pane e malavita, pippo polvere da sparo”, ma lo fa prudentemente, con la mamma manager e il contrattino da giurato di X Factor, dove non distribuisce metanfetamina o pallottole, ma ricette per fare carriera nel buon senso e nel bel canto. Lei no. Chiara Ferragni non sai come prenderla anche se sai com’è fatta. Abita nel black mirror di un inquieto futuro già presente, sebbene venga da un passato assai rassicurante. È nata tra i torroni e la mostarda di Cremona. Famiglia di media borghesia. Due sorelle, lieta infanzia, buone scuole. Padre dentista in perpetua forma jogging detto @paponemarco. Madre che sembra la quarta sorella bionda, Marina Di Guardo, allegra più di tutte, sebbene circondata dai molti cadaveri dei suoi thriller, pubblicati a tiratura crescente, grazie alla locomotiva di casa che lei si ostina a chiamare “la mia Chiarotta”.
La quale è venuta su dal nulla della sua cameretta sversata in Rete, moltiplicando quel nulla all’infinito: “Ho cominciato a 15 anni fotografandomi 50 volte al giorno”. Papone non capiva: “Perché lo fai?”. E a onor del vero neanche lei capiva: “Non lo so, ma mi va di farlo”. A intuire che quell’impulso non era un gioco, ma una vocazione, ci pensò il fidanzato di allora, Riccardo Pozzoli, bocconiano col ciuffo, il quale le spiegò che quella misteriosa attitudine si chiamava personal branding: una emissione di luce nella notte in cui tutte le identità sono grigie. Un sentiero da costruire aprendo il guardaroba e disponendolo – inquadratura dopo inquadratura – fino a formare un sentiero fatto di magliette, gonne, scarpe, smalti, collanine, borse, borsette, tutti sassolini bianchi per trovare la propria strada, tutti segnali di felicità portatile per i followers, i seguaci, che erano 15 mila alla fine del primo anno. Non molti, ma abbastanza da trasformare il gioco in un lavoro e il lavoro (finalmente) nel benedetto denaro, l’equivalente di tutte le merci, comprese quelle esposte da Chiara, coniugando tre verbi solamente: indossare, sorridere, essere. Più il quarto decisivo: diventare.
Così nacque il sito Blonde Salad, insalata bionda, il 12 ottobre 2009, non per nulla anniversario della scoperta dell’America, stavolta in versione fashion blogger: “Una sorta di territorio dove le persone potessero entrare, conoscermi, uscire, tornare”. Chiara diventa cibo per gli smartphone. Diventa moda di nicchia, poi tendenza di massa. Infine influencer. Se ne accorgono i grandi marchi, i pubblicitari, la televisione. “Un giorno sono cominciati gli inviti, prima la Settimana della Moda di Milano, poi le agenzie, poi Chiambretti”. Quando nel 2013, in piazza Duomo, presenta il suo libro – che poi sono consigli di stile, dritte per vestirsi, raccomandazioni “per super divertirsi!” – arrivano duemila ragazzine bionde come lei, magre come lei, vestite come lei.
In loro nome scala il cuore del web più di tutta la concorrenza. “Mi amano, mi seguono”. Prima un milione di seguaci, poi il doppio. Poi il doppio del doppio. “Oggi parlo a 13 milioni di persone senza filtri. È un potere pazzesco!”. Vola a Los Angeles, dove compra casa e ufficio. Disegna un logo, firma scarpe, accessori e assegni. Ha fatturato 10 milioni di dollari nel 2015, quest’anno la sua attività di impresa digitale vale il triplo, ha una squadra di assistenti, dalla quale è stato appena escluso il suo ex fidanzato. Il suo blog è diventato “una piattaforma ispirazionale”, una miniera del product placement. A cominciare dal suo corpo arredato con 22 tatuaggi, l’ultimo è un planisfero, il mondo che ha appena conquistato. Secondo la rivista Forbes è “tra i 30 giovani più influenti al mondo”. Ma nessun analista – o poeta, o manager, o esorcista – sa spiegare perché. Chiara Ferragni non canta, non balla, non recita, non si spoglia, non fa scandali, a parte il bimbo spedito dal primo giorno a succhiare il latte artificiale del web. Sta da sempre seduta al primo banco. È bella, ma non bellissima. È stirata, ma mai elegante. È allegra, ma con il sorriso triste. Non è fredda, non è mai calda. Scrive adolescente e pensa standard: “Io sono il boss di me stessa”; “Non sono mai andata dallo psicanalista, ma mi farebbe super piacere farlo”; “Una donna è molto più di un corpo”. Ma sa essere paradossale: quando Mattel annuncia di avere messo in produzione una Barbie a sua immagine, esulta. E al contrario della fiaba, dove è il burattino di legno che desidera diventare un bimbo in carne e ossa, dice: “Sono una Barbie, il mio sogno da bambina è diventato realtà”.
Chiara Ferragni è un vaso di Pandora a fin di bene. Una Cenerentola che distribuisce scarpine di cristallo a milioni di sorelle. Ma è anche un talento che si sceglie il principe, lo fa inginocchiare all’Arena di Verona e infine se lo sposa, rivestito Versace, mentre intorno danza la luce di 10 mila telefonini trillanti a registrare l’istante.
Il tutto vidimato da contratti, un centesimo di argento a selfie, per un totale, dicono a consuntivo dello sposalizio, di 36 milioni di euro. Più o meno quanto una media azienda. Anche se fatta di nulla. Ma un nulla che consola. E che poi sarebbe il vero segreto che Chiara custodisce, davanti agli indistinti spettatori, disponibili a credere in tutto quello che vedono, salvo che a se stessi.